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Cap. III.



Il giorno 22 d’ottobre di quell’anno 1629, Pietro Antonio Lovato, fante in un reggimento italiano alloggiato nel territorio di Lecco, entrò in Milano, carico di vesti rubate o comperate dai soldati alemanni; e andò a porsi1 in una casa di suoi parenti nel borgo di Porta Orientale. Appena giunto, s’ammalò: fu portato allo spedale; e morì nel quarto giorno. Nel cadavero si scoperse un carbone, che diede sospetto di peste; i parenti del morto, spaventati dall’idea di divenire sospetti anch’essi, e di essere assoggettati alle precauzioni sanitarie, accorsero ad asseverare che quel tumore era stato cagionato dalla fatica del viaggio e della soma.2 Tuttavia gli abiti del Lovato e il letto dov’era giaciuto furono arsi nello spedale; ma non si pensò a3 più lontani provvedimenti. Tre giorni dopo, due serventi dello spedale,4 che avevano governato5 quell’infermo, e un buon frate che lo aveva assistito, si posero giù con febbre, che fu giudicata pestilente.

Allora il tribunale della sanità fece sequestrare la famiglia del Lovato dalle molte altre famiglie, che abitavano nella stessa casa. Quest’ordine fu dato per6 abbondare in cautela, a quel che7 lasciò scritto8 il Tadino; ma se la cautela fu abbondante, certo non fu a tempo; poiché egli stesso rac¬

  1. in
  2. portata
  3. a maggiori
  4. e un buon frate che avevano prestati servigj a quei soldato
  5. quell’
  6. ordi
  7. dice uno
  8. uno dei conservatori della sanità, [Alessandro il Tadino, il quale avrebbe meglio nominata scarsa e tarda quella cautela che non abbondante ; giacché egli stesso racconta | il Tadino il quale racconta più tosto | immediatamente] il Tadino, ma la cautela fu piuttosto