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780 | gli sposi promessi |
remo le pubblicazioni; perché quelle altre già fatte, dopo tanto tempo, non valgono più nulla; e poi voglio avere io la consolazione di maritarvi; e subito subito, voglio darne parte a Sua Eminenza.»
«Chi è Sua Eminenza?» domandò Agnese.
«Il nostro1 arcivescovo,» rispose Don Abbondio, «quel degno prelato: non sapete che il nostro santo padre Urbano ottavo, che Dio conservi,2 fino3 dal mese di Giugno ha ordinato che ai cardinali si dia il titolo di Eminenza?»
«Ed io,» replicò Agnese, «che gli ho parlato, come parlo a Vossignoria, ho inteso che tutti gli dicevano: Monsignore illustrissimo.»
«E, se4 gli aveste a parlare ora,» replicò Don Abbondio, «dovreste dirgli: Eminenza,5 sotto pena di passare per malcreata,6 o per ignorante. Cosi ha voluto il papa: è ben vero che alcuni principi sono in collera, e non vorrebbero questa novità; ma, fra loro magnati se la strighino: io povero pretazzuolo non ho di questi affanni. Torniamo al fatto nostro.7 Voglio che stiamo allegri: abbiamo avuto tanto tempo di malinconia. Farete un po’ di banchetto: eh?» «Da povero figliuolo,» rispose Fermo.
«Ed io verrò a stare allegro con voi; verrò, vedete» disse Don Abbondio.
«Oh signor curato,» rispose Fermo, «intendevamo bene di pregarla...»
«Ed io vi ho prevenuti,» riprese Don Abbondio, «per farvi vedere che vi sono amico: che vi voglio bene, quantunque m’abbiate dato anche voi qualche travaglio:8 non parlo di te, che sei un malandrinaccio,» disse rivolto a Fermo sorridendo, «ma anche voi9 con quell’aria di quietina:» e qui rivolto a Lucia, e alzata la mano10 con l’indice teso,11 e stretto il rimanente del pugno, la moveva verso di essa in atto di amichevole rimbrotto; e continuò: «bricconcella, anche voi mi avete voluto fare un tiro: quella sera; quella sorpresa; quel clandestino:12 basta non ne parliamo più; quel ch’è stato è stato: non è colpa vostra; è un mio de-