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536 | gli sposi promessi |
grida,» continuava l’oste; ma Fermo l’interruppe ancora,
dicendo:
«Questa è una grida che non conta, perché non è mica buona: e fatta contra la povera gente, per sapere1 i fatti
dei galantuomini, ed è una di quelle, che s’hanno a disfare;
dunque non ne parliamo più, e vi assolverò io.2 Riempitemi invece un’altra volta questo boccale, ché il vino lo trovo a mio genio, e lo riconosco per galantuomo senza domandargli il nome.»
«Ma io sono obbligato...»3 ricominciò l’oste,4 dando allo sconosciuto un’occhiata che voleva dire: — siatemi testimonio ch’io faccio il mio dovere. —
«Via, via,» gridarono in un punto molte voci: quel
giovane ha ragione: sono tutti balzelli, angherie: legge
nuova, legge nuova, oggi!»
L’oste si strinse nelle spalle,5 e guardò ancora allo sconosciuto, il quale disse pure: « via non vedete che è un galantuomo? andate a preparagli la stanza.»
«Bravo compagno! bravi amici!» sclamò Fermo: «adesso vedo proprio che i galantuomini si danno la mano e si sostengono.» Partito l’oste, si parlò della grida e delle gride, e poi ancora del pane e dei tiranni. Lo sconosciuto, che fino allora non aveva presa gran parte alla conversazione, usci in campo anch’egli con le sue riflessioni, e con le sue proposte.
«Per me,» diss’egli, «se dovessi comandare io, troverei6 tosto il mezzo di fare stare gli ammassatori e i fornai, e di far trovare pane per tutti. Ecco come vorrei fare. Vorrei che7 si pensasse8 alla povera gente, che non ha frumento e che deve provvedere pane di giorno in giorno, e che non ne avessero9 a mancar mai, che ognuno avesse la sua razione fissata. Vi dovrebbero essere dei galantuomini, dei10 signori, ma buoni e caritatevoli, che11 tenessero conto di tutti, e stabilissero ad ognuno la sua porzione secondo il bisogno, e a prezzo fisso. Per esempio, io andrei a farmi notare;»12 e, cosi parlando, preso un coltello,13 rivolse la punta verso la tavola, e la dimenava come se scrivesse: «e si