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capitolo vii - tomo iii | 533 |
«Vi sono obbligato,» rispose Fermo: «e vi fermerete a
bere un tratto con me.»
Il resto della via fu speso in rifiuti cerimoniosi dello
sconosciuto,1 ai quali Fermo replicava con istanze sempre più forti; tanto che2 entrarono insieme in una piccola osteria; e, attraversato un cortiletto, lo sconosciuto, come sperto del luogo, s’accostò ad una porta e, alzato il saliscendo, aperse;3 e, introdotto Fermo, entrò con lui nella cucina.
Due o tre lucerne, appese ad altrettanti staggi appiccati
ai correnti della soffitta, illuminavano la stanza, nella quale
erano sparse cinque o sei tavole:4 su alcune si mangiava, si giocava su alcune altre, e si gridava da per tutto; e si vedevano correre danari, i quali, se avessero5 potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: — questa mattina noi eravamo nella ciotola d’un fornajo. — Sotto la cappa del camino stava seduto l’oste,6 il quale7 stava ad udire, non parlava che quando era chiamato,8 sentiva tutti i discorsi, delle cose del giorno, e se pure veniva stimolato a dire il suo parere, rispondeva per lo più: «non so niente: io faccio il mio mestiere.» Quando egli senti muovere il saliscendo, guatò9 a chi entrava, riconobbe tosto la guida, e fissò gli occhi scrutatori in faccia del guidato.10
«Vi conduco un bravo avventore,» disse la guida:
«trattatelo bene.»
«È mio impegno» disse l’oste: «che cosa comandano
questi signori?»
Fatta11 questa solita interrogazione, egli esaminò ben bene12 il vólto13 e la persona di Fermo, dicendo fra sé: — tu vieni con un cacciatore: o cane o lepre sarai; ma non sono14 l’oste della luna piena, se non ti conosco alla prima parola
che dirai. —
15«Avete del vino sincero,16 sano, fatto in coscienza?»
disse Fermo.
17 «Quanto a questo,» rispose l’oste: «potete star sicuro, non ne18 ho mai tenuto altro: ne ho del più e del meno