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532 | gli sposi promessi |
confessionale, al letto d’un moribondo; ma delle cose di
questo mondo... so ben io, non s’intendono niente. So già quello che mi direbbe: «figliuol mio, sono tempi cattivi, statevene fuori, non andate nella gente». Poh! se tutti dovessero dar retta a chi dà di questi pareri, non si farebbe mai nulla a questo mondo.1 Non sono poi un ragazzo.
Vediamo se saprò trovare una osteria. —
Cosi pensando, Fermo andava innanzi lentamente, guardando in su a destra e a sinistra, per iscoprire qualche insegna, qualche frasca spenzolata, che indicasse l’ospitalità venale, di cui egli aveva bisogno.
Ma quando Fermo [s’era mosso,]2 si era pur mosso3 su la sua traccia un uomo, che aveva intesa la sua predica,e da poi gli era sempre stato a canto in modo da osservarlo senza esserne osservato: questi,4 appena Fermo ebbe dati5 venti passi cogli occhi in aria, gli si accostò, si fermò a considerarlo un momento, come se lo vedesse in quel
punto per la prima volta, e gli disse: «Buon giovane, voi mi sembrate forese: avete bisogno di qualche cosa, posso servirvi?»
«Oh! che brav’uomo,» rispose Fermo: «appunto ho bisogno di trovare un’osteria per bere un tratto, e per dormire questa notte.»
« Ve ne insegnerò io una a proposito, e v’accompagnerò,» disse lo sconosciuto.
«Vi sarò bene obbligato,» replicò Fermo: «ma mi spiace del vostro...»
«Eh! burlate,» disse l’altro: «si può fare meno? Una mano lava l’altra, è un proverbio che l’avrete anche nel vostro paese: quale è il vostro paese? non per6 cercare i
fatti vostri, ma7 perché mi parete stanco, e dovete aver fatto viaggio assai.»
«Sono infino, infino da Lecco,» rispose Fermo.
«Per bacco! venite ben da lontano, povero giovane,» disse la guida; «ma l’osteria è vicina, e potrete riposarvi a momenti. Siete fortunato, non dico per farmi valere, ma siete fortunato d’essere incappato in un galantuomo, che vi condurrà bene.»