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524 | gli sposi promessi |
all’ufìziale con un cenno del vólto, che voleva dire: - bell’ajuto che m’avete prestato: — l'ufiziale fece un inchino, e
si strinse nelle spalle: Ferrer, in un momento di vanagloria,
mormorò tra sé: — 1 oggi è proprio il caso di dire: Cedant arma togae. —
Quando la carrozza ebbe preso il largo affatto, il Vicario,
riavuto un po’ il fiato, rese grazie umili e sincere prima a Dio poi al vecchio Ferrer, che lo aveva2 cavato d'un bel fondo.
«Eh! eh!» diceva Ferrer, al quale3 i pensieri della vanagloria erano stati interrotti dai pensieri d’ una politica, nella quale era incanutito. «Eh! Che dirà il re nostro signore? Che dirà il conte Duca?»4 — Il conte Duca, — soggiunse5 tra sé a bassa voce — che non vuol romori, che s’adombra se una foglia fa un po’ più strepito del solito. —
«Ah! per me,» disse il Vicario: «non voglio più saperne, me ne lavo le mani, rassegnerò6 il mio posto, e
andrò a vivere in una grotta, sur una montagna, a far l’eremita, lontano, lontano da questa gente bestiale.» «Vossignoria farà quello che sarà più conveniente al servigio del re nostro signore,» disse Ferrer.
«Ah! il re nostro signore non mi vorrà veder morto,» rispose il Vicario: «lontano, lontano da costoro: in una grotta.»
In pochi momenti la carozza fu in castello, e il Vicario
respirò davvero, quando sentì alzarsi dietro di lui un ponte
levatojo, e si trovò in7 luogo, dove non si vedevano che soldati.
Gli storici originali8 contemporanei, non parlano più nulla di lui; ma noi, valendoci del privilegio che hanno
gli storici di seconda mano, di inventare qualche cosa di
verisimile, per rendere compiuta la storia e supplire alle
mancanze dei primi, affermiamo sicuramente, come se ne fossimo stati testimonj: che il Vicario, uscito dal castello, quando la sedizione fu affatto compressa, continuò ad essere Vicario pel tempo che gli rimaneva a compiere la sua carica, e da poi procurò di diventare tutto quello che potè.
Dobbiamo pur notare un’altra reticenza più importante