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capitolo X - tomo ii. | 343 |
darle una schiopettata, alla lontana, prima di sentirla discorrere.»
«Ora,» riprese il Conte, «lascia da parte la compassione, cacciati la via tra le gambe,1 vanne diritto al castello di quel Don Rodrigo: sai dov’è posto? - (il Tanabuso accennò di sì)2«fagli dire che sei mandato da me,3, dagli questo segno nelle mani, e torna a casa. La giornata è stata faticosa,4 ma tu sai che il tuo padrone5 vuole esser servito, ma sa anche pagare...
«Oh! illustrissimo!... »
«Taci, e vanne tosto... ma no aspetta: dimmi un poco come ha fatto costei, per moverti a compassione. Che abbia un patto col demonio?»
«Niente, niente, signor padrone: era proprio il crepacuore, che aveva quella ragazza. Se non avessi avuto un comando del mio padrone... »
«Ebbene?... »
«L’avrei lasciata andare.»
«Oh! andiamo a vederla costei; e tu aspetta: partirai domattina... dopo aver ricevuto i miei ordini... tanto fa che quello inspagnolato aspetti qualche6 ora di più... Domattina sii all’erta per tempo.»
Il Tanabuso partì, facendo un inchino, e il Conte s’avviò alla stanza, dove Lucia stava in guardia della vecchia. Bussò, disse: «son io,» e tosto il chiavistello7 di dentro corse romoreggiando negli anelli, e la porta fu spalancata. Lucia si stava8 seduta sul pavimento, acquattata, accosciata nell’angolo della stanza il più lontano dalla porta, nel luogo che entrando le era sembrato il più nascosto: si stava9 quivi aggomitolata,10 con la faccia occultata, e compressa nelle palme, tutta tremante di spavento, e quasi fuori di sé:11 al romore che fece la porta, alla pedata del Conte, che entrava, trasalì, 12 ma non13 levò la faccia, non mosse membro, anzi fece uno sforzo per ristringersi ancor più tutta insieme; e stette con un battito sempre crescente, aspettando e paventando quello che avvenisse.