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capitolo viii - la signora tuttavia. | 309 |
Estese egli questa minaccia d’esser trattati come diffidenti di S. M.1 anche ai parenti più prossimi di quegli ecclesiastici, che avessero raccettati nei luoghi sacri ed immuni certi banditi.
23 Agosto 1651; ed altre.
Ma i modi di nuocere non erano quegli soli che le grida preferivano, e la inimicizia di un uomo, e di una famiglia potente2 era semenzajo di pericoli, d’incertezze, e di disturbi. Il Provinciale si trovò dunque d’accordo col Conte nel desiderio di sopir l’affare: non si trattava più che del modo di farlo,3 con la convenienza delle due parti. E siccome la cosa non aveva fatto grande scandalo,4 e si trattava più d’antivenire che di riparare, cosi la cosa non era difficile. Dopo che i due furboni ebbero ancora molto interrogato, poco risposto, mercanteggiato,5 giuocato di scherma, il Padre Provinciale disse al Conte: che per considerazione della persona di Lui, per amor della pace, egli trasmuterebbe il Padre Cristoforo di quel convento in un altro lontano, con la condizione che nessuno si vantasse di questo come d’una vittoria; e il Conte lo promise: l’affare fu conchiuso, e i due contraenti si separarono contenti l’uno dell’altro, e ognun d’essi di se medesimo.
Gran cura ponevano6 quei vecchj pensatori in un negozio, di gran parole spandevano, ci pensavano assai, 7 andavano per le lunghe, v’impiegavano il tempo conveniente; ma bisogna anche confessare che facevano poi cose grandi. In fatti questo abboccamento produsse l’effetto di fare8 trottare il nostro povero Padre Cristoforo da Pescarenico a Palermo; che è un bel passeggio.
9Fu dunque spedita al Guardiano l’obbedienza da intimarsi al Padre Cristoforo, e con l’obbedienza l’ordine di farlo partire,10 la direzione della strada da farsi per non toccare Milano, e l’avviso di dargli un compagno11 nella missione, che nello stesso tempo osservasse tutte le sue azioni.
Mentre il nostro povero Frate pensava ai mezzi di soccorrere i suoi protetti, il guardiano lo chiamò a sè, e con