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272 | gli sposi promessi - tomo ii |
tanto Don Rodrigo accennò indirettamente questa faccenda nel modo il più gentile ed ingegnoso, come si vedrà. Fece egli in modo che il podestà lodasse particolarmente il vino della tavola: cosa non difficile ad ottenersi, perché il vino era buono, e il podestà conoscitore. Allora Don Rodrigo: «Oh, signor podestà, giacché ho la buona sorte di posseder cosa di suo aggradimento mi permetterà...»
«Non mai, non mai, Signor Don Rodrigo: se avessi saputo ch’ella sarebbe venuta a questi termini,1 avrei dissimulata la mia ammirazione per questo incomparabile...»
«Bene bene, signor Podestà, ella non mi farà il torto...»
«Don Rodrigo 2 conosce la stima... »
Il Conte Attilio interruppe la gara, la quale era già realmente composta:3 Don Rodrigo parlò all’orecchio ad un servo, e il podestà, tornando poi a casa, trovò sei tarchiati contadini, che4 erano venuti a deporre nella sua cantina le grazie di Don Rodrigo.
5 Dato l’ordine segreto, Don Rodrigo 6 ritornò al discorso incominciato, benché7 sembrasse mutarlo affatto, e passare8 dal vino all’economia politica; ma chi appena osservi la serie delle sue idee, scorgerà il filo9 recondito che le tiene.
«Che dice» continuò adunque Don Rodrigo, «che dice il signor podestà di questo spatriare che fanno i nostri operai?»
«Che vuole ch’io le dica?» rispose il podestà: «è cosa da non potersi comprendere. Quanto più si moltiplicano le gride per trattenerli, tanto più se ne vanno. Non si sa capire: è una pazzia che gli ha presi: sono pecore, una va dietro all’altra.»
«Eppure,» continuò D. Rodrigo «pare che questa cosa stia molto a cuore di Sua Eccellenza.»
«Capperi! veda con che sentimento ne parla nelle gride. Ma costoro, parte per ignoranza, parte per malizia non danno retta, armano mille pretesti; ma la vera ragione si è la poca volontà di lavorare, e il disprezzo temerario delle leggi divine ed umane.»