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prefazione vii

riore dell’ampia e colorita tela con le più importanti figure è quasi compiuto; ferma poi, al principio del III tomo, il ricordo del giorno in cui gli par d’essere già alla metà del lavoro: 28 novembre 1822 (siamo a diciannove capitoli), alla cui fine pone: 11 marzo 1823; dopo altri nove di essi, com’eran stati nove quelli del tomo precedente, cioè al termine del tomo IV ed ultimo (quanti fogli riempiti, tormentati, mutati di posto! ma quanto mondo in loro!) conclude, stanco forse e un po’ dubbioso, ma lieto, ma legato oramai d’un vincolo indissolubile alla sua più vivace, promettente e vitale creatura artistica: conclude col semplice: 17 settembre 1823.

Don Abbondio Perpetua e i bravi, Padre Cristoforo Lucia Renzo, Don Rodrigo e il Conte Attilio, Suor Geltrude i parenti di lei Egidio, il Conte zio e il Padre Provinciale, l’Innominato il cardinale Federigo, Don Ferrante e i suoi (alcuni sotto altro nome) con accanto tant’altri minori, ossia avvocati, podestà, contadini, ragazzi, sacrestani, frati, carrettieri, barcaiuoli, bravi, monache, paggio, servi, con tutt’un popolo che è tormentato dalla fame prima, poi dall’illuvione di milizie feroci, e nel morbo, nell’insipienza, nello sgoverno d’una dominazione straniera: insomma, grandi e piccoli d’ogni ceto, il paese e la città, piano e monti nel tumulto della insurrezione, nella devastazione delle bande alemanne (anche allora, come prima, come oggi, come sempre!) nell’angoscia e nel flagello della peste: tutta un’età, uomini e cose, per arrivare all’orgoglio sciocco, alla stoltezza di governatori, all’incuranza del Re lontano: tutt’una gente e una parte dell’Italia oppressa, taglieggiata, tormentata, han potuto esser ritratte in modo imperituro, col lavoro di due anni e mezzo, dal genio, tanto più grande nella creazione della fantasia quanto piú fedele al vero della storia, sempre acceso dalla fiamma d’un amore profondo per ogni uomo in Dio: in un Dio che, vigile e giusto e prodigo d’aiuto ai miseri e agli oppressi, umilia