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vi prefazione

se gli si consente di usarle e volerle intese nel loro significato migliore; come dicono senz’altro la natura della pubblicazione presente.

Quanti dopo qualche brano, dato già da molto tempo, come per indiscrezione e per generosità, senz’alcun fine ben determinato e con assai scarso utile comune: quanti, dopo i cosiddetti Brani inediti, anzi pel modo con cui essi furono resi noti, non sentirono il desiderio vivo per non dire la necessità di conoscere tutto e per bene l’autografo primo, in cui si sorprende, come diciamo noi, il gran fabbro nell’ardore dell’ispirazione, e s’accompagna, momento per momento, ora lento e incerto, ora rapido e sicuro, nella lunga, tenace, faticata opera, non interrotta che per un’altra già avviata, per necessari studi storici ed economici, nonché forse per le cure inevitabili di sposo di figlio e di padre sereno, dai primi sorrisi della primavera lombarda, in un anno glorioso e tormentoso a ogni gagliardo cuore d’italiano e massimamente al Manzoni (oh anno di speranze e d’abbattimenti!), fino alle prime malinconie dell’autunno, due anni dopo?

Il fiducioso e paziente fabbro s’è ritirato nella sua Brusuglio, solitario tra gli uomini, ma in una incalcolabile pienezza di vita dello spirito e in compagnia di mille cose care e ispiratrici: egli può ben ripetere l’antico: «numquam solus quam quum solus.» Gli son vicini piccoli paesi sparsi e la grande Milano, intorno un immenso e irriguo piano ubertoso, lontano quell’arco delle Alpi su cui biancheggia quasi sempre la vetta solenne del Monte Rosa, men lontane e vive negli occhi come nel cuore, cime valli villaggi torrenti lago della Brianza degli anni giovanili: l’artefice, tutto brama di lavoro, scrive sul primo foglio grande, che comincia appunto con la visione dei luoghi più diletti («Quel ramo del lago di Como»), 24 aprile 1821 e non tanto forse per segnare una data quanto per misurarsi tempo ed opera; sosta alquanto dopo il capitolo VII, appena il piano infe-