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capitolo vi. - peggio che peggio. 113

Fermo con aria di mistero disse a Tonio: «Se tu vuoi farmi un picciolo servizio, io 1 voglio farne uno grande a te.»

«Parla, parla, comandami pure, rispose Tonio, versandosi da bere,» oggi io andrei nel fuoco per te.»

«Tu sei in debito di venticinque lire al curato per fitto del suo campo che lavoravi l’anno passato.»

«Tu sei sempre stato un 2 martorello, Fermo: non sai che all’osteria non si fa menzione di debiti? Ecco, io mi sentiva una voglia che sarei andato nel fuoco per te, ma con questo discorso tu mi hai fatto passare tutta l’allegria, e quasi non ti son più obbligato.» «Se ti parlo del debito,» rispose Fermo «è per darti il mezzo di soddisfarlo. Eh! non ti farebbe piacere? saresti contento?»

«Contento? per diana se sarei contento. Non pel curato vedi: ma per togliermi la seccatura: se la faccenda continua così non potrò più andare alla Chiesa: non mi vede una volta che non me ne gitti un motto, o almeno almeno non mi faccia un cenno con quella sua brutta cera. E poi e poi, egli si tiene in pegno la collana d’oro di mia moglie; e prevedo che quest’inverno se l’avessi, la cangerei in tanta polenta; non in vino,» e qui fece un sospiro, «in polenta. Ma...»

«Ma, ma; se tu mi vuoi rendere un servizio, io ti darò le venticinque lire.»

«Il servizio è fatto, rispose Tonio; non fa nemmeno bisogno che tu mi dica che cosa è.»

Fermo, gli fece promettere sul bicchiere il segreto, e continuò:

«Tu sai che io sono promesso a Lucia Zarella. Il curato 3 mi va cercando cento scuse magre per tirare in lungo; io vorrei spicciarmi: mi hanno detto che presentandomi al curato con due testimonj, e dicendo io: questa è mia moglie, e Lucia: questo è mio marito, il matrimonio è bell’e fatto. M’hai tu inteso?»

«Tu vuoi che io venga per testimonio?»

«Approvato.»

«Il matrimonio è fatto, è fatto,» rispose Tonio baldanzosamente, versandosi un altro bicchiere di vino. «Così ci

  1. posso
  2. povero
  3. non so per
Manzoni, Gli sposi promessi. 8