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x prefazione

Dell’arte buona: che vuol dire operatrice d’elevazione morale in quanti sono spiriti bramosi d’un bel vivere civile. E quale ricchezza, qui, per tali spiriti, nelle acute osservazioni e riflessioni (l’autore viene a dirle indirettamente con la sua nota modestia «sensate e ingegnose») di chi narra vicende umane con animo e sguardo, che, dall’alto, se non si voglia dire da un eterno onniveggente, penetra acuto per entro i secreti del cuore nostro agitato, e lo scruta, lo svela; affinché, chiarito a se stesso, non disperi se malato; abbia fede, se debole, in un aiuto immancabile; si senta un nulla e un atomo della grandezza divina, nella vita dell’universo.

Quanti infine volgeranno particolare attenzione alla lingua (il problema di essa, luogo, qualità, uso, fu indefessamente indagato per tutta la vita dal Manzoni), se, nelle ultime pagine dell’Introduzione, troveranno le idee, o la teoria, ricavate però dall’esperienza propria; in questa esperienza avranno prova chiara d’un’idea, che il Manzoni si fece ben presto e cioè appena forse ebbe posto a se stesso la cosiddetta question della lingua: tra le varie lingue particolari d’Italia (in una, la milanese, egli non avrebbe avuto nessun timore di dire tutto il dicibile da essa consentito e senza «proferire un barbarismo», cioè anche una parola nuova e quindi non intesa da tutti) l’«incomparabilmente piú bella, piú ricca di questa, e di tutte le altre, e che ha materiali per esprimere idee piú generali etc. è, come ognun sa la toscana». Bastata però un certo tempo, «ad esprimere le idee piú elevate ecc.», come quella che «era al livello delle cognizioni europee», è essa, si chiese, a questo livello ancora? può «somministrare frasi proprie alle idee» d’ora? ha «avuto libri sempre pari alle cognizioni», «seguito il corso delle idee?» Mentre dice che non osa rispondere a tali giuste domande, e ne fa immaginare le risposte sol coll’averle mosse, realmente l’idea della toscanità storica e presente