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90 | gli sposi promessi - tomo i |
vino né un creditore insolente senza avere assaggiato della legna dei miei boschi.» 1 A queste parole 2 produssero un riso universale e interruppero un momento la questione che s’agitava caldamente fra i commensali. Un servo portando sur un bacile un’ampolla, come allora usava, 3 di vino, e un lungo bicchiere a foggia di calice, lo presentò al padre, 4 [che] non volendo resistere ad un invito tanto pressante dell’uomo che 5 voleva farsi propizio, non esitò a mescere, e si pose a sorbire lentamente il vino.
«Le torno a dire, Sigr. Podestà riverito, che l’autorità del Tasso non serve al suo assunto, che anzi 6 è contro di lei,» 7 riprese ad urlare il Conte Muzio: 8 «perché quel grande uomo che 9 conosceva tutte le regole 10 e tutti i puntigli dell cavalleria più soprafina 11 ha fatto che il messo di Argante prima di esporre la sfida ai cavalieri cristiani, domandi licenza a Goffredo...»
«Ma questo,» 12 replicava non meno urlando il Podestà, «questo è un sopra più un mero sopra più: giacché il messo è di sua natura inviolabile per diritto delle genti, jus gentium, e secondo quel proverbio, 13 ella m’insegna che i proverbi sono voce di Dio: secondo quel proverbio; ambasciator non porta pena; dico che non avendo il messaggero detto nulla in persona propria, ma solamente presentata la sfida in iscritto, secondo tutte le regole, non doveva mai...»
«Con buona licenza di questi signori,» interruppe D. Rodrigo il quale questa volta contra il suo solito aveva voglia di 14 troncare la quistione: «rimettiamola nel Padre Cristoforo, e si stia alla sua sentenza.»
«Bene, benissimo,» disse il Conte Muzio al quale parve cosa molto graziosa il far decidere una questione di cavalleria da un cappuccino; mentre il Podestà, a cui pareva un po’ ostico l'esser sottoposto ad un giudizio mostrava leggermente il suo malcontento con un suono articolato accompagnato da una quasi invisibile mossa di spalle. «Ma, da quel che mi pare d’avere inteso,» disse il Padre, «non sono cose di cui io mi debba intendere.»