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satire 91


Ma qui il tacersi al buon Vulcano increbbe;
Ond’ei proruppe, rïavuto il fiato:
Odi impudenza! al suo parlar, parrebbe
Che il marito non fossi io pur mai stato
Di quella, ond’osa ei l’amator spacciarsi;
E ch’io fossi il bertone, ei lo scornato.
Padre, tu il vedi, qual dei duo chiamarsi
De’ l’offensore a dritto e qual l’offeso:
Da te giustizia contro il reo vuol farsi. —
Pensoso, a capo chino, e in cuor sospeso,
Vedeasi allor l’Onnipossente Nume
Da due contrarie passïoni acceso.
L’Onor, le Leggi, l’esemplar costume,
Tutto a gara l’oprar di Marte accusa,
Che il sicario e l’adultero si assume:
Ma quella spada stessa, ond’ei sì abusa,
Contro ai Giganti fea prodigj in Flegra:
Astrèa il condanna, ed Eucrestía lo scusa:1
Qual vincerà? — Ma il Re del Ciel men egra,
Che i Re terrestri, in sè la mente acchiude;
Quindi Astrèa non vuol porre in veste negra.
Ecco, il celeste labro ei già dischiude
Alla sentenza, che in esigilo espelle
Marte dal cielo e le sue usanze crude.
Tutte a romore van le olimpie celle:
Godono i Fauni, i Satiri, i Sileni
Di tal legge onde salva avran la pelle:
Fremon gl’Iddii maggior di rabbia pieni
Punir vedendo il Marzïal coraggio,
Perch’ogni reo vigliacco si scateni.
Nè guari in fatti andò, che il gran dannaggio
Dei soppressi Düelli apparve chiaro:
Tal di se stesso diero i Vili saggio.
Ecco, un Satiro là, con riso amaro,
Incontro fassi al Divo Apollo; ed osa
Fargli in viso le fiche, e andargli al paro.
Là scorgo un Fauno a Pallade orgogliosa
Avvicinarsi con proterve voglie,
Pien di villana speme ardimentosa.



  1. Eucrestía, Dea dell’Utile.