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satire 87


Così da un altro Borëal malanno
Sciolto mi trovo; e godo in me non poco,
Ch’ir non puossi a Varsavia senza danno.
Tutto arde allor, ma non di puro fuoco,
Il Babèlico Regno Pollacchésco,
Che in breve attesterà quant’è dappoco.
A mano armata un parteggiar Turchesco
Che libertà contamina col fiato,
Fa che in sì reo dissidio i’ non m’invesco.
Dei Tedescumi tutti esuberato,
In Aquisgrana trovomi d’un salto,
Dall’un Francforte all’altro rimbalzato.
Quindi Spà, che può dirsi il Capo appalto
Dei vizj tutti dell’Europa, un mese
Mi fa, bench’io non giuochi, in sè far alto.
Poi, le già viste Fiandre e l’Olandese
Anfibio suolo rivarcati, approdo
Un’altra volta al libero paese:
Cui vieppiù sempre bramo e invidio e lodo,
Viste or tante altre carceri Europee
Tutte affamate e attenebrate a un modo.
Venalitade e vizj e usanze ree,
Io già nol niego, hanno i Britanni anch’essi:
Ma franca han la persona, indi le idee.
Finch’altro Popol nasca, e l’Anglo cessi,
Questo (e sol questo) s’ami e ammiri e onori,
Poich’ei non cape nè oppressor nè oppressi. —
Quivi allacciato in malaccorti amori
Quasi otto lune io stava; usato frutto
Degli ozïosi giovanili errori.
Spastojatomi alfin dal vischio brutto,
Ripiglio il vol: Batavi e Belgi e Senna
Tocco e rivarco e lascio, a ciglio asciutto:
E la noja più sempre ali m’impenna.
Scendo con Lora: indi Garonna io salgo,
Che Spagna esser mi de’ l’ultima strenna.
Di Bordella e Tolosa non mi valgo,
Se non come di ponti; e son già dove
La prima rocca degl’Ibèri assalgo.
Ben dico, assalgo; nè a ciò dir mi muove
La scarsa rima: ell’è guerriera impresa
Peregrinar, dov’ogni ostacol trove,
Senz’agio alcuno, e triplicar la spesa:
Per esser tutto strada, strada niuna:
Tale Arabia in Europa assai pur pesa.