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satire 85


A tal Sacra Corona inchino io fei,
Che pueril vaghezza mi vi spinse
Per vederlo: or per visto il mi terrei.
Ma il Monarchesco suo fulgòr non vinse
Miei sguardi sì, ch’io ne’ suoi sguardi addentro
Non penetrassi l’arte ond’ei si cinse.
Più ch’altr’uomo, il Tiranno asconde in centro
Del doppio cuore il marchio di sua vaglia:
Ma, s’io di Vate ho l’occhio, ivi pur entro;
E scopro il come avvien che altrui prevaglia
(Se d’armi ha possa) il medïocre ingegno,
Che si svela più in carta che in battaglia.
Ogni scrupol di sale in uom che ha regno,
Stupir fa tutti, o sia ch’ei nuoca o giovi:
Ma chi lo ammira, di ammirarlo è degno. —
Tutto è Corpo di guardia, ovunque muovi
Per l’erma Prussia a ingrati passi il piede:
Nè profumi altri, che di pipa, trovi.
Là tutti i sensi Tirannía ti fiede;
Che il tabacchesco fumo e i tanti sgherri
Fan che ognor l’uom la odora e porta e vede.
Fuggiamo, anche carpon; purch’io mi sferri
Da un tal Profosso. Adulatore a pago
Non mancherà, che a questo Sir si atterri.
Più d’oro assai che non di gloria vago
Qualche Scrittor qui a chiudersi verrà,
Che d’un Borusso protettor fia pago.
Tra gl’impostori, quanti il Mondo ne ha,
Il più sconcio non trovo e il più irritante
Del Tiranno che versi o compra o fa.
Fuggiam, fuggiam da un Re filosofante,
Rimpannucciante alcun letteratuzzo,
Nemici e amici e sudditi spogliante.
Respiro alfin: sto in salvo. Un Sindacuzzo
Del pacifico Amburgo mi ristora
Del Berlinal filantropesco puzzo.
Ma molto, e troppo, a me rimane ancora
Del Borëal vïaggio; onde il parlarne
Emmi or fastidio, quanto il farlo allora.
Sbrighiamcen, su. — Di favellante carne
Candidi pezzi trovo in Danimarca,
Che non dan voglia pure di assaggiarne.
Svezia, ferrigna ed animosa e parca,
Coi monti e selve e laghi mi diletta;
Gente, men ch’altra di catene carca: