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satire 83


Di me stesso signor, signor del mondo
Parmi esser or: nè loco alcun mi cape,
Se pria non vo dell’universo al fondo.
Già Vinegia riveggio: e tal mi sape
Quella sua oscena libertà posticcia,
Qual dopo ameni fichi ostiche rape.
Uom che ha visto i Britanni, gli si aggriccia
Tutto il sangue in udir libera dirsi
Gente che ognor di tema raccapriccia.
Passo, e son dove il Trivigiano unirsi
Incomincia al Trentin: seguo, ed Insprucche
Già m’intedesca in suono aspro ad udirsi.
Pur mi attalentan quelle oneste zucche,
E i lor braconi, e il loro urlar più assai,
Che i nasucci dei Galli e lor parrucche.
Già varco e Augusta e Monaco; nè mai,
Finchè la Sede Imperïal mi appare,
Resto dal correr che mi ha stufo omai.
Qui poserommi un po’; che un dolce stare
Questa Vienna esser debbe, almen pel corpo;
Che già so v’esser poco da osservare.
Ma troppo più ch’io mel credeva io torpo
E d’intelletto e d’animo, fra gente
Cui si agghiaccia il cervello e bolle il corpo.
Viva sepolta in corte aver sua mente
Vedev’io là l’impareggiabil nostro
Operista, agli Augusti blandïente:
E il mal venduto profanato inchiostro
Sprezzar mi fea il Cesareo Poeta:
Tai due nomi accoppiati a me fan Mostro.
Bench’io di Pindo alla superba meta
Il piede allor nè in sogno anco drizzassi,
Doleami pur Palla scambiata in Peta:1
Diva, ond’aulico vate minor fassi,
Non che dell’arte sua che a tutte è sopra,
Ma di se stesso, ov’a incensarla ei dassi.
Ma in dir tai cose or perdo e il tempo e l’opra:
Andiamo a Buda. Io vado, e torno, e parto,
Com’uom che frusta e spron più ch’altro adopra.
InAustrïato e Ungarizzato, un quarto
D’ora neppur vo’ inBöemarmi in Praga:
La Germania Cattolica già scarto.



  1. Peta, Dea dei Petenti.