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82 vittorio alfieri


Tranne Ginevra, i cui Scimiotti abborro
Misti di Gallo e Allòbrogo ed Elvetico;
Nè in cotai saccentelli io m’inzavorro.
Lascio la Pieve di Calvin frenetico
Ai mercantuzzi suoi filosofastri;
E sia pur culla del Rousseau bisbetico.
E, perchè in nulla il Ver da me s’impiastri,
Dirò che allor nè il gran Volterio pure
Fa ch’io Ferney nel mio vïaggio incastri.
D’ogni Gallume risanate e pure
Già già l’idee riporto appien d’oltr’alpe,
Viste dappresso tai caricature:
Da Ginevra indi avvien ch’in fretta io salpe,
Nè visitar quel Mago abbia vaghezza,
Che trasformato ha i Galli in Linci-talpe.
Scendo in Italia: e quasi emmi bellezza
Il mio nido, s’io penso al carcer Gallo:
Se all’Angle leggi io penso, emmi schifezza.
Mi stutorizzo in pochi mesi, e a stallo
Non vuol ch’io resti la bastante borsa:
Pasciuto, e giovin, correr de’ il cavallo.
Ma stanco io qui dalla bïenne corsa,
D’un solo fiato o bene o mal descritta,
Divido il tema: ed anco il dir m’inforsa
Il timor di vergar rima antiscritta:
Stolta legge (anch’io ’l dico), ma pur legge
Che il Terzinante antico Mastro ditta.
Obbedisco: e do tregua anco a chi legge.

CAPITOLO SECONDO.

Mezzo un Ulisse io pur, quanto alla voglia
Insazïabil di veder paesi,
Torno a spiccarmi dalla patria soglia.
L’Europa tutta a scalpitare intesi
Saran miei passi in trïennal vïaggio,
Tanto son del vagar miei spirti accesi:
I due terzi omai scorsi eran di Maggio,
Sessantanove settecento e mille
Gli anni dal ricovrato almo retaggio;
Quand’io, com’uom che in gran letizia brille,
Ampie l’ali spiegava al vol secondo;
Perchè il primier non quant’io volli aprille.