Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
80 | vittorio alfieri |
Tosto che il Doge antiquo dar per lei
All’antiquo Nettúno anel di sposa
Visto ebbi, ratta dipartenza io fei.
Francia, Francia, esser vuol: più non ho posa:
Balzo a Genova: imbarco: Antibo afferro:
Ivi ogni sterco Gallo a me par rosa.
Marsiglia tiemmi un mese, s’io non erro,
Fra le sue Taidi a cinguettar Francese:
Precipitoso io poscia indi mi sferro;
E son del gran Lutòpoli sì accese
Le brame in me, ch’io nè mi mieto il pelo,
Notte e dì remigando ad ali tese.
Giungo al fin dove in nebuloso velo,
Di mezzo dì, d’Agosto, io mal vedeva
Sozzo più ancor che il pavimento il cielo.
Dentro un baratro scendo, in cui mi aggreva
Che il suo bel nome San Vittorio affonde:
Scontento è l’occhio mio, nè più si eleva.
Ma scontento è vieppiù l’orecchio altronde,
Tosto ch’io sento del parlar Piccardo
Affogarmi le rauche e fetid’onde.
Taccio il civile-barbaro-bugiardo
Frasario urbano d’inurbani petti,
Figlio di ratte labbra e sentir tardo.
Che val (grido) ch’io qui più tempo aspetti?
Di costor, visto l’un, visti n’hai mille,
Visti gli hai tutti: a che più copie incetti?
Senza stampa, la Moda scaturille:
Quindi scoppiettan tutte a un sol andazzo
Le artefatte lor gelide faville.
Tornommi in mente allor, ch’io da ragazzo
Visti avea quanti fur Galli e saranno;
Che il mi’ Mastro di ballo era il poppazzo.
E ignaro allora io pur che con mio danno
Vi dovrei poscia ritornare un giorno,
Cinque mesi mi pajon più che l’anno.
Tra Scimmio-pappagalli omai soggiorno
Più far non vo’: sol d’Albïone avvampo:
Se Filogallo io fui, mel reco a scorno.
Arràs Doàggio Lilla, come un lampo,
Di bel Gennajo, assiderato, io varco,
Nè in Sant’Omèro Celtico mi accampo.
A Calesse, a Calesse: e pronto imbarco:
Degli Ouì già so’ stufo a più non posso:
Ogni Ouì ch’io v’aggiungo, emmi rammarco.