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satire | 71 |
Vili sicarj, e stupidi despòti
D’ogni pensier religïoso altrui
Ci dier tuoi scritti anco in mercato noti:
Onde poi, giunta occasïone in cui
Codesti Galli tuoi, schiavi in essenza,
Libertade insegnar vollero a nui;
Niuna seppero usare altra scïenza
Che assassinj codardi e mani ladre
E d’Iddio derisoria irriverenza.
Ahi, Volterin, di quanti rei fu padre
Il Testamento tuo, che fu il Digesto
Donde hanno il Santo or le servili squadre!
Nè dir potrai che a libertà pretesto
Cercassi tu (qual buon Scrittore il de’),
Combattendo ogni errore or quello or questo:
Libertà (Gallo sei) non era in te:
Tua firma stessa io te n’adduco in prova,
Ser Gentiluom di Camera del Re.
Nato in sozzura, o almen di gente nuova,
Fregarti pur vigliaccamente al Trono
Tentavi: e in ciò il deriderti mi giova.
Non sublime, non provido, non buono,
Nè ispirato, nè libero, nè forte,
Di non-durevol Setta all’uom fai dono.
Purché il venduto riso auro ti apporte,
Compiuto hai tu l’Apostolato, e fitta
L’una zampa in taverna e l’altra in Corte. —
Ma, ch’io men rieda per la via più dritta
A pesar te col prode Maometto,
Mel grida questa omai soverchia scritta.
Sacerdote e guerrier di maschio petto,
Contra gl’Idoli ei pur l’arco tendea,
Un sol Dio predicando almo e perfetto.
Poi le opportune favole aggiungea
D’immaginosa fantasia ripiene,
Con cui sprone a virtude i sensi fea.
Col brando è ver che a viva forza ei viene,
Convertitor di chi non crede in esso;
Ma nobil palma in guerra schietta ottiene.
Un generoso fanatismo ha impresso
Nel cuor de’ suoi, non l’assassinio vile
D’ogni età d’ogni grado e d’ogni sesso.
E ancor, mill’anni dopo, il prisco stile
Serbar veggiam da chi tal legge segue,
In Dio credendo rassegnato e umíle.