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satire 69


D’infamia quindi il meritato acquisto
Ai recisori vien d’ogni pia Fede,
Che il Sarà nell’È stato non han visto.
Piace all’uom pingue e stufo e d’ozio erede
Barzellettar sovra le sacre cose,
Ch’egli in prospero stato in lor non crede:
Ma il tempo con suo dente invido ha rose,
Quai ch’elle sien, le basi d’ogni stato:
Quindi è credente allor chi Dio pospose;
E maledice l’Ateo malnato,
Che tor voleagli tanto, e nulla in vece
Dargli, fuorchè il morir da disperato;
E benedice chi i prodigi fece;
E, risperando un avvenire eterno,
Suoi danni alleggia con fervente prece.
Tal è l’uom: tal fu sempre: unico perno
È in lui la speme ed il timor perenne:
E tu vuoi torgli e Paradiso e Inferno?
In prova or dunque, che a giovarci venne
Cristo, più che Voltèro, util Profeta,
Udite il gregge che ognun d’essi ottenne.
Nell’agòn di virtù sublime atleta
Il Cristian primo intrepido e feroce
Cantando affronta la sudante meta:
Contro agl’Idoli altera erge la voce;
Ma, d’ogni invidia e cupidigia esente,
Lauda Iddio, tutto soffre, a nullo ei nuoce.
Non così, no, l’ignaro miscredente,
Figlio di stolta al par che infame Setta,
Ch’oltre il culto le leggi anco vuol spente.
«Non v’è Dìo? non v’è Inferno? a che diam retta
«Omai di leggi ai diseguali patti,
«Onde i poveri in fondo e il ricco in vetta?»
Son Filosofi ai detti e ladri ai fatti:
Quindi or dal remo i mascalzon disciolti
Dottori e in un Carnefici son fatti.
Sotto al vessillo del Niun-Dio raccolti,
Rubano, ammazzan, ardono; e ciò tutto
In nome e a gloria degli Errori Tolti.
Ecco, o Voltèr Micròscopo, il bel frutto
Che dal tuo predicar n’uscìa finora;
Ai Ribaldi trionfo, ai Buoni lutto.
E tu, tu stesso, ove vivessi ancora,
Tu il proveresti, or impiccato forse
Da chi di te sepolto il nome adora.