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satire 63


Vendetta invan qui contro l’oro grida:
Prezzo ha ’l sangue fra noi: può l’uom con l’oro
Matto esser finto, e vero parricida.
Matto è davver chi aspetta omai ristoro
D’alcun suo danno in così rei governi,
Che quanto han più misfatti han più tesoro.
Ma, chi fia che l’aspetti? agli odj eterni
Con sangue e stragi Nemesi soccorre;
E il tuo tradir sul tradir d’altri imperni.
Ai pugnali i pugnali contrapporre
Lascian gli empi Re Veneti, con arte,
Per meglio a se il lor gregge sottoporre.
L’assïoma «Ben domina chi parte,»
D’ogni assoluto e imbelle regno base,
Quivi è più sacro che le Sacre Carte.
Quivi ogni cuor sanguinolenta invase
La prepotente Codardìa, che svena
Quei ch’han le ciglia men di audacia rase.
Vili impuniti Signorotti han piena
Di scherani lor Corte, e uccider fanno
Chi sott’essi non curva e testa e schiena.
E battiture anco tra lor si danno,
Ma oblique ognora, nè in persona mai;
Che l’armi a faccia a faccia oprar non sanno.
Almo rimedio a sì selvaggi guai,
Vien poscia in senatoria maestà
Luce spiccata dagli Adriaci rai:
Sgrammaticando, è detto il Podestà
Costui, ch’io Podestessa direi meglio:
Poichè i delitti ei mai cessar non fa.
Veggio Bresciane donne iniquo speglio
Farsi dei ben forbiti pugnaletti,
Cui prova o amante infido o sposo veglio.
Tai son de’ lor bustini i rei stecchetti:
Nè ascosi gli han; ma d’elsa e nastro ornati
Ombreggian d’atro orrore i vaghi petti.
Assassini ambo i sessi, abbeverati
Di sangue, usbergo han poi d’altri assassini,
Cui noma il volgo stupido Avvocati.
Lor facondia noleggiasi a zecchini:
Trasmutan l’assassinio in rissa mera,
Onde i cori a pietà fan tosto inchini.
L’Italia (in questo sol una ed intera)
Tien l’omicidio in rissa un peccatuccio;
Tanto a chi infrange il Venerdì severa.