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52 vittorio alfieri


Poscia un contro-raggiro l’ha intromesso
Nel Regio venerabile Consiglio:
E a lui si prostran d’ogni grado e sesso.
Or principia davver tra ciglio e ciglio
A balenargli la fatal possanza:
Or comincia egli a dispiegar lo artiglio.
Nel veder che in ricchezze altri lo avanza,
Ei rugge: ha scelta quindi un’aurea moglie,
Onde s’impingui la di lui baldanza.
Ricca d’impuro sangue, ella gli toglie
Un bocconcin di stemma gentilizio,
Ma gli dà d’una o più città le spoglie:
Che il di lei babbo a sua prosapia inizio
Diè con ribalde usure (a quel ch’uom dice)
Or Sempronio spolpando or Cajo or Tizio.
Tosto il Grande al vil suocero disdice
Sua casa: dal Gran Giove in aurea pioggia
Nata è la sposa; e il più saper non lice.
Con la immonda pecunia intanto ei poggia
Dove salito mai per sè non fora;
E già nel regno oltre ogni Grande ei sfoggia.
Alle laute sue cene ei disonora
Que’ begli ingegni, il cui venale brio
Le signorili stupidezze indora.
Sovra l’ali d’un Rombo egli, qual Dio,
Agli autoruzzi sfolgorante appare:
Niun d’essi in Pindo a spingerlo è restìo.
Accademico il fanno: ecco, e sputare,
E sedere, e scontorcersi, e dar lodi,
E far vista d’intendere, e russare,
Ei sa quant’altri; e balbettar poi l’odi
Un puro elogio altrui, che tutto splende
D’argentee voci e d’aurei cari modi.
Ma da rider son queste, e lievi, mende.
Un miracol maggior spiegar conviene:
Com’abbia ei sempre più, quant’ei più spende.
Da prima, a lato a lui, chi compri bene
Neppur Genova l’ha; che il nulla ei paga,
Dal che la uscita a estenüar si viene.
L’entrata ei doppia poi con l’arte maga
Del vender molto ciò che nulla vale;
Se stesso: e in chi nol compra, aspro s’indraga.
Del sublime poter di altrui far male
La privativa egli s’arròga in Corte:
Guai chi l’oblia per Pasqua e per Natale.