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satire | 51 |
E in mille altri sublimi atti servirlo;
Finchè, novelli Achilli, escano in guerra
A tai prove, ch’ell’è favola il dirlo.
Che fia poi quando in peregrina terra
Armati van di Segretario e Cuoco
Ambasciate compiendo, in cui non si erra,
Purchè dì e notte avvampi il pingue fuoco,
Cui dotto Apicio Gallico maneggia,
E purchè Sua Eccellenza dica poco?
Tornarsen quindi ver la patria reggia
Veggo il Magnate di allori sì carco,
Che il serto quasi gli orecchioni ombreggia.
Qual darassi a tant’uomo or degno incarco?
Ei guerriero, ei politico, del paro
Logrò la penna in campo, in corte l’arco.
Dunque ora in toga a presieder l’avaro
Gregge di Temi, Cancellier Coviello,
Destinato vien ei dal Prence ignaro.
Ma la Regina anch’essa altr’uom più fello
Predestinava a Cancelliero, e il vuole;
Un Vescovetto di buon nerbo e snello.
A di lei posta il Re tosto disvuole:
Astrea, vedendo sue bilance appese
Al Pastoral, vieppiù (ma invan) si duole.
Or che altro Grande al Grande mio contese,
E tor pur seppe i mistici sigilli,
Qual altro premio avran l’alte sue imprese?
Da prima al collo gli appicchiam berilli
Con altri prezïosi Indici sassi,
Onde intessuta alcuna bestia brilli.
Alla pecora d’oro il vanto dassi;
E il merta, parmi, il bel simbolo in cui
L’una pecora in petto all’altra stassi.
Pure ogni Regno apprezzar suol più i sui;
Quindi avvien ch’ora il Gufo or l’Elefante
Fan di lor peso andar più baldo altrui.
Posta è persino a molte bestie avante
Una legaccia, che al ginocchio manco
Sottoponsi, affibbiata in adamante;
Per cui dell’una calza l’uom va franco,
Che a cascar mai non gli abbia a cacajuola;
L’altra legaccia in ampio nastro ha il fianco.
Chiavi e croci e patacche insino a gola
Bardano or dunque il Cancellier, dismesso
Pria ch’ei vestisse la talare stola.