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44 | vittorio alfieri |
Di tutti il cor, di niun la faccia io veggio:
Onde, o null’uomo o me primiero offendo,
Qualor di punta alcun errore io feggio.
Ma, biasmo n’abbia o laude, io già mi accendo
Di sdegno tanto, e di tal fiel trabocco,
Che vincer voglio o di perirvi intendo. —
Ecco un prode venir, col brandistocco
Pendente al fianco, che a combatter viemmi:
Aspro a veder, forse ei fia molle al tocco.
Ma, che miro? in non cal cotanto ei tiemmi,
Che, non che piastra e maglia e scudo vesta,
Par di rose un mazzetto il sen gl’ingemmi.
Oh, nuova cosa, or che il distinguo, è questa!
Giovin d’aspetto, ha il crin canuto e folto;
E ad ogni scossa della ricca testa
Di bianca polve in denso nembo è involto;
Polve ha il petto e le spalle, infra cui pende
Del crin l’avanzo in negra tasca accolto.
Il giubboncel strettino appena scende
De’ ginocchi a ombreggiare il lembo primo;
Sol fino all’anche il corpettin si estende;
E ’ calzoncini aggiustatini; e all’imo
Di cotanta sveltezza, appuntatine
Scarpette in cui niun piè capirvi estimo:...
La scorza è questa dell’augel di Frine,
Che campion del bel-mondo or me minaccia,
E si accarezza con la man le trine.
Se non hai chi per te difesa faccia,
Gentil mezz’uomo, ad atterrarti basta
Un mio soffio: e il cader temo ti spiaccia:
Che l’armonia simmetrica fia guasta
Del tuo bel tutto, ove nel fango andassi:
E sol coi forti il brando mio contrasta.
Volesse il Ciel ch’or tu ben m’infilzassi;
(Ei mi risponde, disperato mezzo)
Ah, sol per morte l’uom felice fassi!
Che ascolto, oimè! Dal tuo beato lezzo
Filosofici motti uscir pur denno?
Deh, prosegui il tuo dir; ch’io nol dimezzo.
Tu dei saper (ripiglia) che il mio senno
Al servigio d’Amor perdei cogli anni:
Ed or fra l’onta e l’uso anco tentenno.
Vita noiosa d’affanni e d’inganni
Meno, e morir non oso; ed è un po’ tardi
Per emendar d’ozio sì lungo i danni.