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PROLOGO.

IL CAVALIER SERVENTE VETERANO.


Ἄγευστος μὲν ἐλευθερίας, ἀπείρατος δὲ παῤῥησίας, ἀθέατος δὲ ἀληθείας, κολακείᾳ τὰ πάντα καὶ δουλείᾳ σύντροφος... ἡδονῇ πᾶσαν τὴν ψυχὴν ἐπιτρέψας, τάυτῃ μόνῃ λατρέυειν διέγνωκε, φίλος μὲν περιέργων τραπεζῶν, φίλος δὲ πότων, καὶ ἀφροδισίων.


Luciano, nel Nigrino.


Di libertà, digiuno; ad ogni ardita parola, muto; alla verità, cieco; nelle adulazioni e servilità, educato; l’animo intero seppellito nella voluttà cui sola egli incensa, banchettator, femminiero.



Esco o non esco or colla spada in campo
Contro ai vizj e gli error del secol nostro,
Ch’è di sì larga messe intatto campo?
Quinci mi arresta ed atterrisce un Mostro,
Che, del mondo Signor, gigante siede
D’oro e di gemme armato tutto e d’ostro:
Quindi mi punge e fa inoltrarmi il piede
Donna più assai che il Sole alma e lucente,
Che ad alta voce in suo campion mi chiede.
Ma l’usbergo dell’animo innocente
Già mi allaccia ella stessa; ond’io non temo
Pugnar senza visiera apertamente.
E se incontrare anco periglio estremo
Per te, sublime Veritade, io deggio;
Pur ch’i’ abbia lungo onor, sia ’l viver scemo.