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epigrammi 23


LXXIV.

26 febbraio 1797.

Per abborrir quanto è dovere i Galli,
Chiari esser vuolsi, e liberi, ed intatti:
Ma per amarli, basta il somiglialli:
Strano adunque non è ch’a lor si adatti
La ciurma tutta, e molti anco dei re:
E udite a quali patti.
Ogni furfante, in lor specchiando se,
Furfanteggiar coi loro mezzi spera:
Così ogni Sir, che in odio ai sudditi è,
Scorge la sua tirannide leggiera,
Anzi adorabil farsi,
Rispetto a quella ch’or la Gallia fe’. —
Piace il nuovo a chi vuol rimpannucciarsi.

LXXV.

16 aprile 1797.

Festevol motto arguto,
Che ognun ripete, e non si sa di cui,
Farne in rima conserva emmi piaciuto,
Senza pur defraudar la gloria altrui.
Pieno è d’attico sale
Chi di Ginevra i torbidi assomiglia
A una burrasca dentro un orinale.
Manca il piloto; e fantasia mi piglia
Di apporvelo di mio.
Necher, che tanto governare agogna,
Sia quei, che in cotal mare timoneggi:
E così ben destreggi,
Che sua barchetta ed ei nel sozzo oblio
Venga a imboccar della francese fogna.

LXXVI.

5 maggio 1797.

Al Doge, ed ai suoi Veneti, giudizio;
Buona-parte, saetta d’ogni vizio.
Messer lo Doge, ove non siate matto,
Accettate il baratto,