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il misogallo | 189 |
genitori svenatigli, non un marito, un fratello, un amante, un divoto, un mendico, che in me vendicassero o la moglie, o il fratello, o l’amata, o i sacerdoti, o gli averi da me depredati, profanati, ammazzati. Non entra vendetta in cuor di Francese. Cristiani in questo soltanto, dal nulla sentire. Due scellerati, che io per soli due giorni procrastinai d’ammazzare, per non morir essi, finalmente mi uccisero: cioè congiurarono, per farmi dalla Convenzione ammazzare, processare e accusare, tre verbi, che il mio regnare ha fatti sinonimi, ed istantanei, precedendo sempre però l’ammazzare. Vero è, che io nella Convenzione stessa imprudentissimamente accusando con dubbie ed oscure parole assai de’ suoi membri, senza pure individuarne nessuno, lasciai in tal guisa sopra tutte le teste di essa vagare il terrore, e la morte. Questo indeterminato universale spavento collegò contro me tutti quelli, che disegnate vittime si credettero. Quindi, ciò che niuno di coloro avrebbe mai ardito tentare per salvare, nè vendicare il congiunto, o l’amico; tutti allora l’osarono, per pure tentare di salvar sè stessi. Io dunque in una sola mattina vistomi subitamente incarcerato, accusato, non udito, abbandodonato, e tradito da’ miei satelliti; trovandomi a mal partito, tentai, con una pistola rimastami, involarmi all’imminente fatal Guigliotina.
Re Luigi. Bene sta: nè alcuno mai poteva esserti degno carnefice, quanto tu stesso.
Robespierre. Ma questa mia mano, mal ferma in sì importante momento, tradivami.
Re Luigi. Insanguinata di tante migliaia di trucidati innocenti, mal seppe uccidere un reo. Tu dunque allora il vedesti, qual differenza passasse fra l’inviare ad altri la morte, e il darla a sè stesso.
Robespierre. Sfracellato così, e semivivo, io fui tosto strascinato su quella piazza medesima, da quel carnefice stesso, sotto la stessa mannaja, che troncò la tua testa; e quivi fu tronca la mia, e mostrata recisa ad un popolo immenso, appunto come la tua. Tanto è vero, che non lo volendo, e senza avvedersene, mi tennero, e trattaron coloro, fino all’ultimo punto, come lor Re.
Re Luigi. Un successor qual tu eri, ampiamente ogni qualunque antecessore discolpa. E benchè il desiderio, ed il pentimento, e le lodi di un popolo, che ha potuto obbedirti, nulla lusinghino un Re di coscienza intatto, e di fama; nondimeno (giacchè su un tal popolo regnai) io voglio riportarne anzi lode, ed amore, che vituperi, ed abborrimento. E fia questa la diversa ma giusta mercede, che ambo noi otterremo dal tempo.
Robespierre. Or va, ben eri tu nato un Guardiano di Cappuccini, ma non il Re mai di un popolo ciarliero e corrotto.