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il misogallo 185


PROSA QUINTA.

11 gennaio 1796.

Dialogo fra l’ombre di Luigi XVI e di Robespierre.1

XX.                       . . . . . Claras abstulit Urbi
Illustresque animas, impune, et vindice nullo,
Nec periit, postquam cerdonibus esse timendus
Coeperat.


Giovenale, Sat., IV, vers. 150.


Impunemente ei la Cittade orbava
De’ suoi più egregi Cittadini, e nullo
Vendicator sorgea; nè perì poscia,
Benchè alla Plebe fatto anco tremendo.



Re Luigi. Chi sarà egli costui, che scende pur ora agli Elisi? Al naso arricciato, e alla guatatura insolente e’ mi par di conoscerlo: ma la di lui testa è sfracellata talmente, che io non me ne posso accertare.

Robespierre. Re Luigi, tu mi stai osservando con occhio mal certoL; non mi riconosci dunque più?

Re Luigi. Or sì ti ravviso pienamente alla rauca loquela. Robespierre, così presto mi hai tu seguitato?

Robespierre. In questo secolo a regnar non s’invecchia, e tu il sai. Ti sia dunque noto, che quello che tu sei stato in Francia di nome, io lo sono stato di fatti. Ho regnato sopra le ceneri tue, e de’ tuoi.

Re Luigi. Non mi stupisce ciò punto. Tu avevi i tre pregj necessarj al regnare su i presenti Francesi. Oscuri natali, pessima fama, e scellerata impudenza. Regnar tu dovevi, e più tempo.

Robespierre. Un anno e mesi di trono naturale son pochi; ma di trono usurpato son molti. È vero bensì, che in questo breve spazio mi sono sbizzarrito io assai più, che non dieci dei tuoi antecessori in tre secoli.

Re Luigi. Ma pure l’arte tua a’ miei tempi non era il guerriero; convien dunque, che morto me, tu ti sii portato agli eserciti; di dove poi, acquistandoti un nome, tu sii con la loro forza ritornato a dar legge a Parigi.



  1. Robespièrre: uno di quei tanti Avvocatuzzi falliti, che rigenerarono la Francia, e che, per essersi mostrato più crudele, e vigliacco degli altri, ha saputo uscire da quella oscurissima folla, e farsi un nome tal quale.