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Popolo siam noi soli, a cui l’artiglio
D’immondi bruti la ragion troncava;
Noi, fatti dotti dal commi periglio. —
A freno, a fren, la insana greggia ignava:
Pane, e Giustizia, e inesorabil ciglio,
In uom la cangi; o la perpetui schiava.


SONETTO XXIX.

8 gennaio 1795.

Pregio mi fo di quattro cose, e grado
Ne so non lieve al donator Destino,
Ch’oltre il dovere a favorirmi inchino,
Fa sì che ignoto in mandria vil non vado.
Fummi, il non nascer plebe, il don men rado;
Terzo estimo il non nascer Parigino;
Poi vien, l’avere in me spirto Latino,
Bench’io nato in servile immondo guado:
Ma il don, ch’io pongo d’ogni dono in cima,
È la scintilla di Apollineo raggio,
Che il cor m’invade, e innalza, ed arde, e lima.
S’io di plebe, o di Gallia, o di servaggio
Figlio era sozzo, in prosa io mai, nè in rima
Dar non potea di me niun alto saggio.1

SONETTO XXX.

12 gennaio 1795.

Tra i Galli schiavi, e in schiavitù gaudenti,
Molti anni io stava, e carmi assai scrivea,
Costretto ognor dalla feroce Dea,
Libertà, fonte in me di caldi accenti.
Ecco, ch’a un tratto a balbettar sorgenti
Una qualche non lor libera idea
Quei profumati barbari io vedea,
Rapina, e sangue, e tirannia volgenti.




  1. Cioè: se io nasceva plebeo, avrei scritto o adulatoriamente, o insolentemente sui grandi, come timido, od invidioso. Se io nasceva schiavo nell’animo, avrei scritto come un Francese. Se io nasceva Francese, avrei scritto come uno schiavo. E se Apollo finalmente di alcuno suo raggio non mi graziava, non avrei scritto nè pure il Misogallo.