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il misogallo 173


Allor la invidia e crudeltà plebea,
De’ Grandi l’arroganza,
Immedesmate entro una pianta rea,
Forman lo scettro orribile di ferro
D’un Re, che in capo ha il pazzo, in cor lo sgherro.


SONETTO XXVII.

1 novembre 1794.

Là, dove Italia borëal diventa,
E dai prossimi Galli imbarbarita,
Coll’ú, coll’eú, coll’án, coll’ón, spaventa
Ogni orecchia di Tosche aure nutrita,
Là nacqui, e duolmen forte; e a me il rammenta
La mia lingua al bel dire intirizzita,
L’illegittima frase scarsa, e spenta
D’ogni lepor, d’ogni eleganza ardita.
Ahi fiacca Italia, d’indolenza ostello,
Cui niegan corpo i membri troppi, e sparti,
Sorda e muta ti stai ritrosa al bello?
Da’ tuoi gerghi, e dal Gallico, ti parti;1
Al tornar Una, il primo vol fia quello;
Seguiran tosto vere alte bell’arti.

SONETTO XXVIII.

18 dicembre 1794.

Del Popol piaga, e non del Popol parte,
La Plebe ell’è; che vizïosa, ignuda,
Tremante serva, e servilmente cruda,
Le corrotte cittadi ingombra e parte.
Fera, volubil, stupida, in altr’arte,
Che bramar tutto, e nulla oprar, non suda:
Sempre anelante, ch’argine si schiuda
Onde inondando possa ella ingojarte.




  1. Per mancanza di vero amor proprio, le diverse Provincie d’Italia si ostinano a parlare il dialetto Calabrese, Veneziano, Genovese, Bolognese, Piemontese, Romagnuolo ecc. E così pure, per mancanza totale di alti sensi, di memore, e risentito animo, e di conoscenza, e stima del valore della propria vera lor lingua scrivibile, si avviliscono essi ad imparare, e balbettare la bruttissima lingua d’un bruttissimo popolo.