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172 | vittorio alfieri |
in questo regno in aspetto di puri, o macchiati; se illuminati e dotti davvero, o presuntuosi o infarinati soltanto; se liberi, in una parola, o liberti? — Ma che? non rispondi? — Già pienamente t’ho inteso; troppo mi hai detto tacendo. Io pure proseguir voglio, e domandoti: Chi eri tu, fa quattr’anni? Di quali entrate, o di qual arte campavi?
Liberto. Avvocato...
Libero. Ahimè! basta. Tu dunque vendevi e parole, e opinioni, e te stesso, a chi più ti pagava. Ma eri tu almeno dei reputati, e valenti in codest’arte fallace?
Liberto. La gelosia e l’invidia de’ miei confratelli, aggiunte agl’infami raggiri del passato assoluto Governo, mi suscitarono delle persecuzioni iniquissime, per cui mi venne intercetta e la fama e il guadagno, che ai miei non scarsi talenti doveansi.
Libero. Spogliando io dunque d’ogni orpello il tuo dire, dalle tue stesse parole ricavo, che povero tu vivevi, ed oscuro: aggiungo io quindi, e scontento; e, concedendolo i tempi, perturbatore, vendicativo, e prepotente ed impuro; ed in una parola, Liberto. E questi pregj tuoi tutti negheresti tu invano; chè il vostro operare finora dimostra, ed a me ed a tutti, che dai molti tuoi simili è stata in quelle infelici contrade contaminata la sacra causa della Libertà, la quale certamente infra sì fatte lordure non nasce. Accusami dunque, se il vuoi, a qual più ti piace dei tanti vostri infami tribunali di sangue, e servaggio, che a prigionia mi condanni, ed a morte. Ogni pena mi riuscirà minore, e d’assai, della fastidiosissima pena di vivere in mezzo a schiavi malnati, che ardiscono assumer la maschera di liberi uomini.
EPIGRAMMA XIV.
11 ottobre 1794.
Fra Re signori e Re villani, corre |