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il misogallo | 163 |
non aver io in tempo adoprata in mia legittima difesa (e per la vostra felicità ad un tempo) quella forza ben intera e ben mia, che dai non ancora violati miei cenni assolutamente allor dipendeva. E grand’errore al certo fu il mio, di essermi lasciato far prigioniero in Versaglia per sempre. Ma nè di questo errore medesimo, benchè a sì duro passo or mi tragga, io non mi pentirò pure mai. Gran sangue faceva di mestieri versare in quel dì, per risparmiar forse il mio. Più degna prova, e più assai confacente al mio cuore, fia questa; veder, se il mio sangue versato, basterà a risparmiarne molt’altro. In me tuttavia quel Principe stesso io sento, e quel sono, che di sua spontanea volontà liberissima, Signore di tutti voi assoluto, da niun’altra forza costretto, se non dall’amor del ben pubblico, gli Stati Generali di questo mio regno intimava. Ed a tal fine intimavali, perchè le tre diverse classi del Popolo, con giusto equilibrio perpetuo, i loro diritti, e quelli del trono ad un tempo, con nuovo ripartimento rettificati, consolidassero. Indistruggibile reciprocità di diritti, unica base perenne, e sola cagione della verace libertà di ciascuno, come della massima sicurezza, e prosperità dello Stato.
Le violenze dunque ed il sangue, da me costantemente abborriti, alle violenze, ed al sangue, ed alla propria total rovina (pur troppo) han condotto quest’infelice mio Popolo. Infelice egli, sì, più di me, mille volte. Che io, giusto in me stesso e sicuro, una indegna, e non meritata morte antepongo pur sempre all’avere, od ingiustamente anco un solo innocente, o con arbitrarj mezzi un sol reo colla dovuta morte punito.
Non so, dopo me, qual trattamento, o supplizio alla Regina mia Consorte, e ai miei Figli, dalla instancabile vostra crudeltà si prepari. Certo, se potessero a un Re non disdirsi le lagrime, e i prieghi, io ben potrei piangere sul loro infelice destino, io forse anche ai preghi potrei abbassarmi, per essi. Ma, e che potreste loro Voi togliere? E che potreste a lor mai donar Voi? Una miserissima vita, di pianto intessuta e d’obbrobrio. Più alto, più utile, e più generoso fia il dono che ad essi ben posso pur anco far io: con il sublime mio esempio, alla Consorte, ed ai Figli insegnare a regalmente da forti morire.
Su dunque; e nel Re vostro da prima, e nella sua intera innocente famiglia dappoi, su via, il cenno date voi tosto ai carnefici vostri pur tanti, di coraggiosamente infierire.
Onnipotente Iddio, tu che queste parole mie ultime ascolti, e il cuore, che le mi detta, fin nel più intimo vedi; deh, vogli tu con la tua mano sovrana operare, che il nostro innocentissimo Sangue alla costoro tirannide venga a dar fine, ed alla nuova felicità della Francia cominciamento.