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guisa distruggerli... E quando mai tacerei finalmente, se alla sfuggita puranco accennare soltanto volessi le insane battiture perenni, con cui, non che la sconcia vostr’opera, ma ogni idea di libero, ed assennato governo laceraste, annullaste, Voi stessi?

Resta oramai, che tra le imputazioni a me fatte pur tante, e sì false, di una sola io in viva voce mi sciolga; e non già agli occhi vostri (che appo voi l’esser reo mi è laude), ma agli occhi dell’universo, e dei posteri. Rimproverate mi vengono le manifestamente provocate uccisioni, fatte da quelle Guardie, che voi avevate destinate a custodirmi nella mia regia carcere, nell’atto di respingere una immensa plebe, che in anni, a bandiere spiegate, preceduta, fiancheggiata, e seguita da numerosissime artiglierie, vilmente veniva ad investire la Casa di un Re prigioniero. Su questo punto ora dunque, oltre il ben noto ragguaglio del fatto, ampia vittoria mi diano le vostre stesse risposte.

Perchè mi assegnavate voi delle guardie in così gran numero, con armi, ed artiglierie? A custodire me disarmato poche guardie bastavano; le molte, mi parevan dunque da voi assegnate per difendermi, o fingerlo. Ma, proseguiam le domande.

Perchè poi, con armi, e bandiere, ed artiglierie, da Voi si lasciava (o si facea, per dir meglio) venire quella innumerabile turba ad assalire la Reggia?

Qual legge può togliere all’uomo il natural diritto della propria difesa?

In qual modo potevano due soli mila difendersi da forse dugento mila, se senza sparare si stavano ad aspettare che una tal moltitudine li circondasse?

E per ultimo: chi diede ai soldati, che mi custodivano, l’ordine di respingere con la forza la forza? Non fu egli il Maire di Parigi, persona tutta vostra, e non mia? persona che con derisoria simulazione servile, al Comandante di quelle Guardie non mie dava per iscritto, e firmato un tal ordine, e poche ore dopo, fattolo chiamare alla casa del Comune, trucidare lo facea dalla plebe, e l’ordine datogli surrepire?

Se dunque fu colpa, il dì 10 d’agosto, lo sparo delle guardie da voi destinatemi, per ultima interrogazione vi chieggo; fu ella mia, o fu vostra lo colpa?

Ma già già il sogguardarvi voi taciti, una qualche risposta negli occhi l’un dell’altro invan ricercando, ben ampiamente voi tutti convince, e me scolpa. Nè uomo rimase sì stupido, che di questo a me imputato delitto, non rida.

Un’accusa, ben altra, a me verrà data dai posteri; presso cui, non solamente non liberi Voi, ma degni d’ogni più grave servaggio vi sarete appien dimostrati. E sarà quest’accusa, del