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prima, essendo composta di individui macchiati quasi che tutti, facinorosi, e pezzenti.

Dì 1 maggio 1792. La Guardia del Re, un mese prima legalmente assegnatagli dalla stessa Assemblea, arbitrariamente e violentemente soppressa in una notte dall’Assemblea.

Dì 20 giugno, stess’anno. Il palazzo del Re invaso, e trascorso da una immensa folla di plebe, con l’ultimo e totale avvilimento della di lui persona, imberrettata per forza in quel giorno della purpurea mitra di libero galeotto, quale la portavano quegli assassini.

Dì 10 agosto, stess’anno. Battaglia murale della Reggia espugnata da una ciurma di dugentomila schiavi, assassini a ciò spinti con minacce, e danaro; e malamente difesa da circa 1500 soldati, che i più Svizzeri, i quali quasi tutti vi perirono.

Dì 2 settembre, stess’anno. Strage vigliacca della Principessa di Lamballe, amica, e parente della Regina, assassinata nelle carceri, e così moltissimi altri illustri innocenti, tra’ quali nella sola chiesa del Carmine, alcune centinaia di venerabili sacerdoti e prelati, ed infiniti altri onorati ed integri uomini, che in tutte le carceri stavano affastellati; e tutti vi rimasero trucidati in quel funestissimo ed obbrobriosissimo giorno.

Dì 21 settembre, stess’anno. Il nascimento dell’abortiva Repubblica, sotto sì fatti liberi auspicî: e finalmente il dì non so quale, nè di qual mese, nè di qual anno (poichè io sto rammentando queste epoche il dì 24 gennaio 1793, in Firenze, dove poco so, e pochissimo m’importa il sapere quel che seguirà nella cloaca parigina) il giorno dico futuro, ma certamente non lontano dell’assassinio del Re, seguito poi da una intera dispersione, e macello de’ suoi, e seguito poi, non molto dopo, dal macello dei regi carnefici, e perpetuamente seguito da altre incessanti stragi, sino all’estinzione, ed esequie della nata-morta Repubblica. Queste epoche tutte, e passate e future, che altra storia non meritano se non se il noioso periodo di un solo fiato, che il tempo ne accenni, e il fetore; quest’epoche (stomachevoli tutte a chi la libertà conosce, e desidera) sono, e saranno la viva prova perenne, che codesto popolo non l’ha nè sentita, nè conosciuta, nè desiderata, nè ottenutane neppure mai l’apparenza.

EPILOGO.

Qualunque cosa sia dunque per accadere in Europa, dove la funesta imbecillità dei Principi tutti, l’ignoranza, o l’infedeltà di chi li governa, la torpidezza e la codarda inopportuna benignità del Principato, la insolenza, e non curanza dei grandi, la bollente vile invidia dei piccoli, la pusillanimità dei possidenti,