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che ragionatamente instillato negli altri popoli può in gran parte al comun loro danno ovviare.

Ed ecco in qual guisa io mi fo a credere, che anche ragionando, e disappassionandosi (per quanto il possa chi vivissimamente ama il vero) ogni retto, e libero animo e possa, e debba giustamente aborrire una sì fatta nazione, i di cui tristi costumi hanno da cento e più anni in qua indubitabilmente sparsa la corruzione di ogni genere fra tutte le altre; ed ora, sotto diversa maschera, se ne va seminando la mostruosa, e funesta anarchia, innestata sulla propria natìa putrefazione; e le più inaudite crudeltà, e scelleraggini; e ad un tempo il più obbrobrioso servaggio; la dipendenza, cioè, dei possidenti, e dei buoni, dai nulla tenenti, e dai rei.

La libertà dunque, e i Francesi, due cose nelle quali io, sì per istinto naturale, che per matura riflessione, e lunga esperienza dappoi, collocava il mio amore, e il mio odio, si trovano oggi (agli occhi però degli stupidi soli) in apparenza riunite. Io quindi mi vedo costretto (non già per appagare gli stupidi, ma per impor silenzio ai maligni, o confonderli) a dimostrare con alcuni fatti, che amare non si può la libertà, nè conoscerla, senza aborrire i Francesi; appunto perchè questi due opposti nomi, e materie non si son mai raccozzati, nè raccozzar mai si possono. Che forse, ove io nelle presenti circostanze mi fossi taciuto, potea venire il dì, che un qualche schiavuccio travestito da uomo, di me supponesse, o fingesse di credere, che io la libertà in parole soltanto lodata, in fatti odiassi; ovvero che io la libertà dai Francesi contaminata approvassi; o che io finalmente non conoscessi nè questi, nè quella.

AVVENIMENTI.

Qualora un popolo, che geme oppresso sotto un’ingiusta, e non meritata tirannide, perviene ribellandosi a distruggere con la viva, e generosa forza la forza opprimente, egli è questo per certo un popolo appassionato, valente, apprezzabile, e meritevole di libertà. Ma nel dire io un popolo, non intendo la feccia oziosa, e necessitosa di una immensa Città; intendo bensì, una moltitudine, e quasi totalità di onesti abitanti sì delle Città, che del contado, promiscuamente composta di tutti i ceti; la quale, non istigata, non prezzolata, ma per naturale sublime impeto, dalle ricevute ingiurie commossa a sdegno, e furore agisce all’improvviso con entusiasmo, energia e schietto coraggio. Premessa questa definizione di un popolo ribellantesi, e de’ suoi lodevoli sforzi, ormai scenderò ai francesi tumulti. Benchè di moltissimi