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Così, tremendo ai Sudditi e ai Vicini,
Salito è dove ei mai per sè non fora,
Mercè i molti addestrati Fantoccini.
A. Cose tu insegni che null’uom qui ignora:
Pur io vo’ apporvi il Corollario e dico
Che gli sforzi soverchian per brev’ora;
E che, ad esempio del Prussian nemico
Gli altri Re triplicando anch’ei gii sgherri,
Torna ciascun del par forte e mendico.
Son causa e effetto in uno, i troppi ferri,
Di minor possa e più impudente ardire,
Prestando ai Salci maschera di Cerri.
Ci fan di armati un milïon nudrire,
Per farsi ognor l’un l’altro le bravate,
E all’occorrenza poi schiaffi inghiottire.
Magni apparecchi partorir cacate
Ogni giorno vediam, gravando a prova
La terra e il mar d’eserciti e d’armate.
Tutta del Secol nostro è l’arte nuova
Dei mezzi immensi e impercettibili opre;
Con la clava d’Alcide infranger l’uova.
Pur, se agli orecchi l’asino si scuopre,
Entro ai sesquipedali Esercitoni
L’Europa or sua viltade invan ricopre.
Non Serse e Dario e i loro flosci omoni
Grandi fur detti, ancor ch’ei fosser grossi;
Ma i trecento Laconici Leoni.
Più assai che i volti osan mostrarsi i dossi
L’un l’altro i nostri eserciti nemici,
Di cuor pacati e sol d’epa commossi.
Ciascun poi solda i Gazzettieri amici,
Che le battaglie stampino tremende
Con morte di migliaja d’infelici.
Vero è bensì che Morte assai ne prende:
Ma più glie ne dà Venere che Marte;
E più glien dan le putride profende1.
Soldati, quanti cinquecento Sparte
Non darían, li diam noi, ma un po’ più mansi;
Sì ben di guerra abbiam rifatta or l’arte.



  1. Profenda: quella quantità di fieno e di biade che si dà in una volta ai cavalli, agli asini, ai muli, ogni giorno. E si può ben adattare tal voce alla scarsa e trista quotidiana che si dà ai soldati.