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102 vittorio alfieri


Io non vorrei davvero essere in te:
Che, imprigionato pria dai creditori,
Sarai poscia o dai Cento o dall’un Re
Sgozzato; il che non fanno ai malfattori.
In oggi così saldan le partite
I non solventi Stati debitori.
Ogni Provincia, ogni Città sta in lite
Con sua entrata annüal; nè v’ha Borguzzo
Che nel spregar quel d’altri non le imíte.
Ogni pubblica Azienda o Spedaluzzo
Il Chirografo ottien, per cui consorte
Al Debitone ei fa suo Debituzzo.
E tutti poi, per vie più dritte o torte,
All’ombra fida del fallito Stato
Falliscon franchi, come s’usa in Corte.
Verbo non v’è il più tristo e il più lograto:
Tu Devi, perch’io Devo, e a me si Deve:
E il potrei tutto conjugar d’un fiato,
Ch’ogni suo Tempo l’adattar fia lieve;
Tranne il nobil vocabolo DOVERE,
Che di nome il valor da lui riceve:
Dico il sacro morale uman Dovere,
Che calpestato in questo secol brutto
Fa sì che lasciam l’Esser per l’Avere.
E ciascun, vile, e cupido, ed asciutto,
Per quanto e il succo e il sangue altrui si beva,
Cogliam con ladra man d’inopia il frutto.
E ognor più deve chi qua e là più leva;
E chi più deve, avvien che ognor più furi:
Ruota, che i buoni affonda, e i rei solleva.
Come impossibil è che a lungo duri
L’arco strateso, e temi ognor ch’ei rompa;
Così ai dominj indebitati e impuri
Sempre sovrasta la funerea pompa.