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Ma breve è ognor beatitudin ria:
Dovizia e lusso e i vizj tutti in folla
Fan che a chi la furava amara sia.
Nè, perch’un Popol mille antenne estolla,
Cresce ei di gente in numero infinito;
Che il mar ne nutre assai, ma più ne ingolla.
Pur, poniam vero il favellar sì trito
Che duplicati e triplicati apporta
Gli uomini dove è il trafficar fiorito;
Al vero onor d’umanità che importa,
Che di tai bachi tanti ne sfarfalli,
Sol per moltiplicar la gente morta?
Molte le mosche son, più molti i Galli:
Ma non è il molto, è il buon quel che fa pregio:
Se no, varrían più i Ciuchi che i Cavalli.
Sempre molto è quel Popolo ch’è egregio:
E quanto è picciol più vieppiù destarmi
De’ maraviglia, s’ei d’alloro ha il fregio.
Religïone e leggi e aratro ed armi
Roma fean; cui Cartàgo mercantessa
Men che rivale, ancella, in tutto parmi.
Quand’anche or dunque differenza espressa
Il non-commercio faccia in men Borghesi,
Non fia poi cosa, che un gran danno intessa.
Liguria avría men muli e Genovesi;
Sarían men gli Olandesi e più i ranocchi
Nei ben nomati in ver Bassi Paesi:
Ma che perciò? Vi perderemmo gli occhi
Nel pianger noi lo scarso di tal razza,
Che decimata avvien che ancor trabocchi?
In qualche error, ma sempre vario, impazza
Ogni età. Cambiatori, e Finanzieri;
Gli Eroi son questi, ch’oggi fa la Piazza:
Questi, in cifre numeriche sì alteri,
Ad onta nostra dall’età future
Faran chiamarci i Popoli dei Zeri.
Ma morranno anco un dì queste imposture,
Come tant’altre ch’estirpò l’oblío:
E si vedrà basi mal ferme e impure
Aver gli Stati ove il Commercio è Dio;
E tornerassi svergognato all’Orco,
Donde uccisor d’ogni alto senso uscío,
Quest’obeso impudente Idolo sporco.