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satire | 97 |
SATIRA DECIMASECONDA.
IL COMMERCIO.
Perditus, ac vilis sacci mercator olentis. |
Giovenale, Sat. XIV, 269. |
Trafficator di sozze merci vile. |
E in te pur, d’ogni lucro Idolo ingordo,
Nume di questo secolo borsale,
Un pocolin la penna mia qui lordo:
Ch’ove oggi tanto, oltre il dover, prevale
Quest’acciecato culto onde ti bei,
Dritt’è elle ti saetti alcun mio strale.
Figlio di mezza libertade, il sei;
Nè il niego io già: ma in un, mostrarti padre
Vo’ di servaggio doppio e d’usi rei. —
Ecco, ingombri ha di prepotenti squadre
La magra Europa i mari tutti; e mille
Terre farà di pianto e di sangue adre.
Sian belligere genti, o sian tranquille;
Abbiano o no metalli indaco e pepe;
Di selve sieno o abitator di ville;
Stuzzicar tutti densi, ovunque repe
Quest’insetto tirannico Europeo,
Per impinguar le sue famelich’epe.
Stupidi e ingiusti noi sprezziam l’Ebreo,
che compra e vende, e vende e compra, e vende;
Ma siam ben noi popol più vile e reo:
Che, non contenti a quanto il suol ci rende,
Dell’altrui ladri ove il furar sia lieve,
Facciam pel Globo tutto a chi più prende.
Taccio del sangue American, cui beve
L’atroce Ispano; e il vitto agl’Indi tolto
Dall’Anglo, che il suo vitto agl’Indi deve.
Se in fasce orrende, al nascer suo, ravvolto
Mostrar volessi il rio Commercio; or fora
Il mio sermone (e invan) prolisso molto.
Basta ben sol che la sua infamia d’ora
Per me si illustri, appalesando il come
L’iniqua Europa sue laidezze indora.
7 Alfieri – Epigrammi, ecc. |