un giorno, mentre ch’ella pascendo, giocando, e cantando si stava, sopravvegnendola, tentò di trarla al suo desiderio, promettendole che tutte le sue capre figlierebbono a doppio. Ella schernendo il suo amore, e ritrosamente rispondendogli, disse che non degnava per innamorato uno, che non fosse nè tutto uomo, nè per tutto becco. Mossesi Pane a correrle dietro per isforzarla; ed ella dalla forza, e da lui sottraendosi, si dette a fuggire tanto, che stanca sopra d’un palude giungendo, fra di molti cannicci, di che egli era pieno, s’ascose, e dentro vi sparve. L’orgoglioso Dio, per la stizza tagliando le canne, che davanti le si paravano e non trovando la fanciulla, tostochè seppe la sua disavventura, compose delle tagliate questo stromento, congiungendole insieme con la cera disegualmente per la diseguaglianza del suo amore. Così fu già bella vergine questa che adesso è sonora sampogna. Avea di poco Lamone posto fine al suo favoleggiare, e Fileta lo lodava d’aver con la sua favola porto maggior piacere, che se egli avesse cantato, quando Titiro sopravvenne con la sampogna del padre. Era questa sampogna un grande stromento, e di grosse canne composto, ornata di sopra alla ’nceratura d’una forbita e ben commessa spranga di rame, e tale, che a vederla ognuno avrebbe creduto che fosse quella, che da Pane stesso fu la prima volta fabbricata. Fileta dunque, levatosi in piedi, e nell’antico seggio de’ pastori a seder postosi, tentò primieramente di canna in canna, e di tasto in tasto tutta la sua sampogna, se dentro ben netta fosse, e veggendo che ’l fiato senza alcuno intoppo correva, la ’ntuonò sí forte, e con tanto spirito, che al petto di qualunque robusto giovine si sarebbe disdetto. Risonò tutta la campagna d’intorno, e parve che s’udisse un concerto piuttosto di pifferi, che di canne, poi di mano in mano il tuono scemando, ad una più soave melodia lo ridusse: così variando e discorrendo per tutta l’arte della musica, sonò quando il grande, che si conviene alle vacche, quando l’acuto, che aggrada alle capre, e quando l’allegro, che diletta alle pecore; in somma contraffece con la sua sampogna le voci