prima lo baciava anch’ella: alcuna volta si discalzava, e succintasi per insino a mezzo stinco, s’arrischiava ancor essa d’entrarvi. Dafni si tuffava sotto l’acqua, e chetamente riuscendole appresso, o le dava un pizzico per le gambe, o la tirava per un lembo della sua gonnella; ed ella, come se da qualche abitator del fiume fosse rapita, strillando fuggiva. Talora che assisa sopra la ripa, con de’ fiori in grembo faceva ghirlande, Dafni le spruzzolava dell’acqua nel viso, ed ella gli rovesciava addosso i suoi fiori; poscia si tiravano de’ pomi, s’infioravano le fronti, si scioglievano le chiome, di nuovo le si intrecciavano; e la Cloe agguagliava i capegli di Dafni, perchè erano neri, alle coccole della mortella; Dafni assomigliava il volto della Cloe a una mela rosa, perciocchè egli era bianco e vermiglio. Ella apparava a sonar di sampogna, o Dafni insegnandole, tosto che la si poneva a bocca la ripigliava, e fattovi suso una ricerca, ed un cotal gruppetto di note, faceva sembiante di ricorreggerle qualche fallo, e con questo avviso per mezzo della sampogna infinite volte la baciava. Avvenne un giorno, tra gli altri, in su la sferza del caldo, mentre che Dafni sonava, e le greggi si stavano al rezzo, che la Cloe per dormire si trasse chetamente dietro ad una macchia di lentischi; di che Dafni avvedutosi ed aspettando, che s’addormentasse, riposta la sampogna, le si mise a canto a vagheggiarla; e non essendo allora da vergogna rattenuto, non si poteva saziare di rimirarla, e rimirando pianamente, sottovoce così tra se stesso bisbigliava: Che occhi son questi che dormono, che chiusi non sono men belli che aperti? che bocca è questa che spira, che tal odor non hanno nè le mele appiole, nè qualsivoglia cespuglio di fiori? Che fo io; baciola? no, che il suo bacio morde il core, e cava altrui di sentimento, a guisa che talvolta a chi mangia del mel nuovo suole avvenire; no, che baciandola la desterei. Scoppiar possiate voi, cicale fastidiose, che per tanto gracchiare non lascerete che la dorma. Male aggiate voi, becchi importuni, con tanto cozzare, e male aggiano i lupi, che divorati non v’hanno;