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6 dafni e cloe

piene di fiere, con pianure di grani, poggetti di vigne, pascioni di bestiami, d’ogni cosa comoda, abbondante, e dilettevole assai, e posta lungo la riva del mare talmente, che l’onde la battevano, e leggermente di rena l’aspergevano; stanza veramente del riposo, e del recreamento dell’anima. Per questa villa pascendo un capraro, il cui nome era Lamone, trovò in questa guisa un picciol bambino, e con esso una capra, che lo nutriva. Era in una boscaglia, presso a dove egli pasceva, una folta macchia di pruni d’ellera, e di vilucchi, in modo da ogni banda avvinchiata e tessuta, che d’una deserta capanna teneva somiglianza. Questa casa avea la fortuna provvista all’esposto bambino, e la sua cuna era ivi dentro un cespuglio di tenera e fresca erbetta. Usava di venire a questo luogo una delle sue capre, la più cara che avesse, e più volte il giorno entrandovi, per buona pezza senza esser vista vi dimorava, e poco del suo figliuol curandosi, lattando l’altrui, e intorno badandogli, la più parte del tempo vi si stava. Lamone fatto compassionevole dell’abbandonato capretto, si diede a por mente alle gite di questa bestiuola, ed una volta tra molte, in sul mezzo giorno appunto, quando tutto il branco meriggiando si stava, veggendola dall’altre sbrancare, e per l’orme seguendola, vide prima, che dietro a certe ginestre mettendosi, poi di cespo in cespo aggirandosi, e spesso rivolgendosi, se ne giva leggiermente saltellando, e come scegliendo sentiero da non vi lasciar pedata, donde potesse dal suo pastore essere ormata. Nè mai d’occhio perdendola, per il medesimo foro guardando, per onde immacchiata s’era, la vide, che subito recatasi sopra il bambino, gli porse da poppar tanto, che sazio lo vedesse. Poscia a guisa d’innamorata madre, ora belandogli intorno, ed ora leccandolo, parea che teneramente lo vagheggiasse; e meravigliandosi, come dovea, si trasse dentro la macchia, e trovandolo maschio, fresco, colorito, e bello, gli parve tra quelle erbe un fiore, e di gran legnaggio tenne che fosse veggendolo involto in arnesi più orrevoli, che alla fortuna di un che in abbandono