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vaghezza e diletto: ora celate, le crescevano incendio e desiderio. La tema che fosse morto, la trafiggeva mortalmente; la speranza che fosse vivo, non la consolava interamente; perciocchè il pensare che ella ne fosse priva, le recava disperazione; l’immaginarsi che fosse d’altruile partoriva gelosia: così non era appena stata la meschinella dall’Amore assalita, che non solamente da molte, ma da contrarie passioni amorose si trovò in un tempo medesimo fieramente combattuta: sentiva il suo male, e come rozza, non sapeva nè la cagione, nè il rimedio; come incauta, non l’aveva potuto schifare; come tenera, non lo poteva sostenere; ed era sola, e non aveva chi l’aiutasse, nè chi la consigliasse. Fuor di sè stessa, con gli occhi fissi alla grotta, e con l’orecchie intente alle voci, si stava per lungo spazio immobile; ora quasi infuriata d’intorno al lago aggirandosi a guisa di vedova tortorella, la perduta compagnia con doglioso gemito richiamava; e fra sè medesima pensando, diceva, «Oimè! che se fosse vivo, sarebbe tornato; se fosse morto non mi avrebbe chiamata: ma se la voce che mi chiamò, fu sua, perchè ora non mi risponde? se fu delle Ninfe, perchè diversa da quella, che mi rispondono? Oimè! che le Ninfe son quelle, che non lo lasciano nè tornar, nè rispondere: Oimè! che gli faranno qualche strazio per esser forse entrato nel bagno; e forse che le sue bellezze son loro piaciute, forse che piace loro di vederlo notare, e per questo lo ritengono. Ma si fuggirà poi. Fuggiti, Dafni, fuggiti. Oimè! che non si curerà forse di ritornare. Ma egli ha pur lasciato il tabarro; si dovrà pur ricordar della sampogna; penserà pure che le sue capre son senza guardia.» E pur non tornando fra dubitar che fosse morto, e creder che le si togliesse vivo, dolente e gelosa non cessava di richiamarlo.


Fin qui il Caro; e voleva condurre il racconto fino a raggiungere la storia interrotta di Longo; ma nol fece.


fine degli amori di dafni e cloe.