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riti dall’osservazione, e quindi quanto più essi saranno semplici, universalmente consentiti e nel minor numero. Né possiamo ammettere questi assiomi per tutto lo spazio fisico illimitato senza darne una prova, dappoiché nessuno ha mai osservato né potrà mai osservare tutto lo spazio illimitato.

La nostra intuizione spaziale non è una forma a priori trascendentale del nostro spirito, bensì è prodotta dall’osservazione combinata coll’astrazione. Noi ci assicuriamo della presenza degli oggetti esterni per mezzo dei sensi, e delle qualità di sensazioni che in noi producono tratteniamo coll’astrazione soltanto quella di estensione per avere le prime forme geometriche. La intuizione spaziale non è sviluppata allo stesso grado di perfezione in tutti gli uomini, come nei geometri puri e nei pittori; è noto infatti che persone cieche da giovani, riacquistando la vista, hanno un’intuizione imperfetta delle forme più semplici. Essa è, dunque, il prodotto di una lunga esperienza, e se l’adoperiamo senza riflettere, non significa che sia una forma a priori dello spirito; come non è tale il nostro linguaggio, per il fatto che da adulti comprendiamo subito il significato dei vocaboli, anche se non sappiamo indicare su quali esempi della nostra esperienza li abbiamo appresi fin da bambini. Ma per quanto perfetta sia la nostra intuizione, non intuiamo mai la retta illimitata, bensì la retta sotto forma di oggetto sensibile, sia pure idealizzato dall’astrazione.

Ecco perchè non possiamo accettare che sia posta alla base della geometria la definizione euclidea delle parallele, come quelle rette del piano che prolungate indefinitamente non si incontrano, né che vi sia fondato un