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Sono questi i principj che ho seguito nel trattare delle differenze tra i vocaboli, principj che in queste quistioni di lingua che si vanno agitando per gli studj d’Italia, ho creduto dover candidamente professare; contento, se vado errato, di errare con quegli eletti spiriti, ai quali mi congiunge non solo questa nobile comunanza di studj, ma un legame indissolubile di riconoscenza e di tutto affetto1; dacché essi altro non ebbero in mira se non di giovare ai progressi della lingua e del pensare italiano, gli uni col mostrare la venustà e la franchezza del suo antico andare, gli altri col ringiovinirla, e darle nervi e polso a camminar col secolo, ma questi e quelli ugualmente lontani dalla sfrenata licenza de’ novatori, e dalla irragionevole servitù de’ pedanti.

Spero perciò, che sia per meritarmi lode la frequente ricordanza, che io vado facendo nel corso del mio lavoro, della toscana autorità. Cercai di soddisfare prima d’ogni altra cosa ad un debito del cuore, nel quale stanno profondamente impresse cento care memorie di quella


  1. Intendo parlare di Carlo Botta, di Giulio Perticari, e di Vincenzo Monti.