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e facilità di costrutto, quell’ingenuità di modi, quella sveltezza di forme, quella vena spontanea ad un tempo e spiritosa, onde il volgare italiano, sopravanzò di tanto le lingue moderne; spicca in quelle prime scritture un tal giro di frasi, una sì bella e sì nuova movenza di periodi da potersi anzi sentire, che imitare. Quindi i casti amatori della favella, ragguardando a questa mia distinzione, s’accosteranno d’ora in poi alle arche del trecento non più per disseppellire le voci, che vi giacciono incadaverite, ma per istudiar l’indole e la struttura della lingua, rinnovarne le gramaticali proprietà, e respirarne l'incorrotta fragranza.

Aggiungi, o lettore, che nel parlare degli autori di quel primo tempo, io non ho inteso di que’ grandi, che illuminarono il mondo col divino raggio del loro sapere, e che pieni di filosofia la lingua ed il petto sorsero fra quelle tenebre maestri delle perdute vie del vero non solamente nelle lettere, ma in ogni parte delle umane cognizioni: questi luminari della gloria italiana non debbono e non possouo andar confusi con quell'oscura turba di scrittori dello stesso secolo, cui se togli l’antichità non riman pregio, che gli raccomandi alla riconoscenza de’ posteri.