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ai più sicuri canoni dell’arte, e che non ve n’abbia una sola, che non sia dal consenso dei più dotti filologi convalidata: esse sono, come quelle del Pougens e dell’Adelung, tutte isteriche, che è quanto dire che si possono colla storia della nazione rischiarare, riscontrando in essa i grandi mutamenti al favore de’ quali i nuovi vocaboli entrarono nella favella, il tempo nel quale avvennero questi gravissimi casi, le novelle usanze dalle quali essi vocaboli originarono, e la gente infine, che le portò. E chi non sa, che la storia delle parole è pur quella de’ fatti, de’ costumi, e della civiltà d’una nazione? E chi non sente nelle macchie fatte alla lingua d’un popolo l’insolenza del vincitore, e la vergogna del vinto?
Dalla ragionata dichiarazione delle origini dedussi con facilità la retta definizione delle voci, l’ordine naturale de’varii loro significati, e finalmente le esatte differenze de’ vocaboli affini. Con queste certezze presi poscia a discorrere gli scrittori del trecento, citati da due secoli in qua come irrefragabili autorità dell’uffizio, e del valor delle parole, ed accortomi, che molti fra essi digiuni affatto d’ogni filosofia, anzi grossolanamente idioti stravolgevano le vere e naturali