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Nuovi proclami e sempre nuovi governi 37


Da ciò nacque una tremenda reazione. I cittadini, indispettiti contro i fautori dei francesi che trattavano i toscani come popoli conquistati mentre non costavan loro una sola cartuccia, e inaspriti dalle burbanzose minacce, arrestavano da sè stessi e portavano alle Stinche o al Bargello quei disgraziati che credendo alla libertà, all’eguaglianza e alla fratellanza francese, s’eran lasciati illudere. Molti di quei patriotti, che in buona fede avevan creduto in una nuova èra di libertà della patria, furono bastonati dai reazionari, partigiani d’altri predoni stranieri, cioè degli austriaci; e così Firenze, rimasta senza governo, ebbe un dicatti che il vecchio Senato fiorentino, di cui nessuno rammentava più nemmen l’esistenza, riprendesse, dopo la partenza dei francesi, le redini dello Stato. Ed il primo atto di quel nucleo di gente inetta ed austriacante, che formò lì per lì una specie di governo, fu quello di mandare in tutta fretta come deputati ai generali austriaci, il conte Cammnillo della Gherardesca, il marchese Antonio Corsi, l’avvocato Giuseppe Giunti e Carlo Pauer, per pregarli ad accelerare la marcia delle loro truppe su Firenze. Nel tempo stesso, si facevano premure all’armata aretina di venire a rimetter l’ordine, poiché gli eccessi dei «facinorosi avidi e audaci manomettevano le persone e le proprietà dei patriotti, in varie guise ingiuriate dalla plebaglia.» Per conseguenza, non cessava di raccomandare al popolo con l’editto del 6 luglio, di cessare dagli arresti dei giacobini, non perchè ciò era indegno di gente libera, ma «per non turbare con tali atti arbitrarii l’amatissimo sovrano,» che avrebbe reso loro il dolce suo governo. E siccome il Senato prevedeva da un giorno all’altro il ritorno di Ferdinando III, così esortava tutti a non permettere che la gioia di tanta aspettativa «fosse mista con i mali sempre inseparabili dal disordine e dalla confusione.»

Il capitano Lorenzo Mari, già uffiziale dei dragoni di Ferdinando III, e capo dell’armata aretina, credendosi sul serio un altro Napoleone, da San Donato in Collina, dov’era coi suoi prodi accampato, fece sapere all’improvvisato governo